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Maria Paola Forlani. Il Museo dell’Opera del Duomo di Firenze
27 Novembre 2015
   

Dopo tre anni di lavori si è riaperto al pubblico il nuovo Museo dell’Opera del Duomo, il quale possiede la maggiore concentrazione di scultura monumentale fiorentina al mondo: statue e rilievi medievali e rinascimentali in marmo, bronzo e argento di Arnolfo di Cambio, Andrea Pisano, Lorenzo Ghiberti, Donatello, Luca della Robbia, Annoio Pollaiolo, Andrea del Verrocchio, Michelangelo ed altri ancora. Quasi tutte queste opere furono realizzate per gli esterni ed interni delle strutture ecclesiastiche che sorgono davanti al Museo: il Battistero di San Giovanni, la Cattedrale di Santa Maria del Fiore ossia il Duomo, il Campanile di Giotto.

Il compito particolare del Museo dell’Opera è quello di presentare in modo adeguato le opere fatte per questi edifici ma i severi limiti di spazio resero impossibile l’adempimento di questo compito nei primi centoventi anni d’esistenza del museo. Le appena due sale originali col tempo divennero diciotto, ma anche queste risultarono insufficienti e molte opere rimasero nei depositi. Ancor peggio, le sale del vecchio museo erano troppo anguste per le sculture, molte delle quali con grandezze più naturali e intese per essere viste da lontano.

Negli anni 1990 divenne poi chiaro che altre opere ancora, rimosse dai monumenti per restauri, per ragioni conservative avrebbero dovuto essere collocate in futuro al museo, dove però mancava lo spazio.

Fu quindi con notevole sollievo che nel 1998 l’Opera del Duomo poté acquistare una vasta struttura attigua al vecchio museo, con 3.000 mq da aggiungere ai 2.500 del museo esistente. Quest’edificio, realizzato nel 1778 come teatro, era servito a vari scopi nell’Otto e primo Novecento e, privo di caratteri architettonici storicizzati, poteva essere riplasmato in conformità alle esigenze dell’acquirente, che ne doveva conservare solo la sagoma e le altezze preesistenti.

Secondo il progetto preparato dagli architetti fiorentini Adolfo Natalini, Piero Guicciardini e Marco Magni, la prima sala del nuovo Museo presenta, su una delle pareti lunghe, la riproduzione in scala 1:1 dell’antica facciata medievale del Duomo (smontata nel 1587), con le statue nelle posizioni indicate in un disegno cinquecentesco. Le opere di particolare importanza che, in tale sistemazione, risulterebbero troppo lontane dallo spettatore sono esposte in basso, con calchi nelle loro nicchie in alto. Dirimpetto a questa colossale frons scenae stanno poi le celeberrime porte bronzee del Battistero di Firenze, con, sopra di esse, i gruppi statuari cinquecenteschi realizzati per queste posizioni. E nella stessa sala sono esposte due grandi sarcofagi romani che per tutto il Medioevo e Rinascimento furono all’esterno del Battistero.

Dopo la spettacolare evocazione della piazza tra Duomo e Battistero, nella sala della ricostruita facciata e delle porte bronzee, seguono tre ambienti più piccoli allusivi all’interiorità dell’arte realizzata per queste chiese: una «Cappella delle reliquie» con capolavori d’orificeria medievale, rinascimentale e barocca; una sala di pale d’altare votive con al centro, la Maria Maddalena pentita di Donatello; e infine una sorta di santuario in pietra serena dove il visitatore può contemplare la penultima scultura di Michelangelo, una grande Pietà intesa per la tomba dell’artista, che lo ritrae nelle vesti di Nicodemo che adagia il corpo torturato del Cristo tra le braccia della Madre. Una caratteristica del nuovo Museo dell’Opera – e cioè l’accompagnamento di alcuni capolavori con idonei testi storici – colloca in prossimità della Pietà un sonetto scritto da Michelangelo negli stessi anni in cui scolpiva il gruppo scultoreo nel quale l’artista esprime l’amore per Cristo crocifisso.

Giunto è già’l corso della vita mia, / con tempestoso mar per fragil barca,/ al comun porto, ov’a render si varca / conto e ragione d’ogn’opera trista e Pia. / Onde l’affettuosa fantasia, / che l’arte mi fece idol’ e monarca,/ conosco or ben quant’era d’error carca, / e quel ch’a mal suo grado ogn’uom desia. / Gli amorosi pensier, già vani e lieti, / che fieno or, s’a duo morte m’avvicino? / D’una so’l certo, e l’altra mi minaccia. / Né pianger né scolpir fia più che quieti / l’anima volta a quell’Amor divino / ch’aperse, a prender noi, in croce le braccia.

La visita continua al primo piano nella galleria lunga 36 metri che ospita le sculture realizzate per il campanile di Giotto: sedici statue di grandezza più che naturale, di mano di Andrea Pisano, Donatello e i loro collaboratori, nonché quasi sessanta rilievi, tra cui alcuni di Luca della Robbia. Le opere più celebri in questa galleria sono le statue donatelliane di Geremia e del personaggio noto come «Zuccone», il sopranome fiorentino per un profeta tradizionalmente identificato come Abacuc, ma forse in realtà Eliseo.

Attigua alla Galleria del campanile una seconda galleria – lunga 20 metri e alta 6 – ospita oggetti collegati alla costruzione della cupola brunelleschiana: modelli lignei quattrocenteschi, materiali costruttivi e attrezzi di cantiere d’epoca, assieme alla maschera funebre di Brunelleschi e il suo ritratto commemorativo realizzato nelle stanze usate dall’architetto negli anni in cui diresse la costruzione della cupola. Grandi modelli contemporanei e un filmato didattico invitano ad immedesimarsi nel più grande progetto ingegneristico del XV secolo, la realizzazione dell’ardita “tribuna maggiore” di Santa Maria del Fiore,che, col diametro di 43 metri rivaleggiava con la cupola del Pantheon romano.

Al secondo piano del museo poi, un’altra galleria lunga 36 metri, che si affaccia sulla grande sala della facciata, ospita opere del tardo Cinque e primo Seicento relative agli sforzi dei regnanti medicei di “modernizzare” la Cattedrale e in particolare la facciata: vi si ammirano i grandi modelli lignei di Bernardo Buontalenti, Giovan Antonio Dosio, Gherardo Silvani ed altri per la nuova facciata a sostituzione di quella smantellata nel 1587.

A questo punto il percorso riconduce nelle sale al primo piano del Museo storico, dove un allestimento completamente nuovo evoca l’interno del Duomo, con una seconda selezione di tavole a sfondo d’oro medievali e rinascimentali, e con le cantorie di Luca della Robbia e Donatello. In altre sale sono esposti venticinque rilievi del coro cinquecentesco realizzato da Baccio Bandinelli, e l’altare d’argento fatto per il Battistero insieme al monumentale crocifisso d’argento di Antonio Pollaiolo. Insieme a queste suppellettili si trovano anche tessuti liturgici di particolare importanza, tra cui i ventisette pannelli ricamati disegnati dallo stesso Pollaiolo negli anni 1460 per il sontuoso parato usato nella festa liturgica di San Giovanni Battista, patrono della città. Un’ultima sfilata di sale documenta il processo pluridecennale che portò, negli anni 1880, alla realizzazione della facciata neogotica che oggi adorna il duomo: disegni, dipinti, statue marmoree, gessi e modelli ricreano il variegato panorama d’impulsi architettonici e decorativi del periodo risorgimentale ossia d’unificazione nazionale. Per capire l’intensità delle passioni che quest’impresa suscitava bisogna ricordare che nel 1865 Firenze era divenuta capitale del nuovo Regno d’Italia e che la facciata del Duomo si presentò pertanto come il primo progetto artistico “nazionale”.

Chiamare “grande museo” il Duomo di Firenze e le strutture ad esso collegate è un modo di insistere sull’unicità dell’esperienza che si desidera vivere sul fatto cioè che il fascino dell’arte è legato a quello, assai più potente, che l’idea di Dio esercita sullo spirito dell’uomo.

 

Maria Paola Forlani


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