Maria Lanciotti. Sacundì Sacundà Messaggio di fine luglio fra corruzione e roghi e rubinetti asciutti
31 Luglio 2015
Chissà perché, in queste giornate di fuoco e fiamme, che preannunciano un Ferragosto d’inganni e forconi e un settembre/ottobre d’inferno, tornano in mente gli anni Sessanta, la fantastica voce di Mina e una delle sue canzoni fra le più surreali, quasi un mantra contro la Tentazione in agguato ad ogni angolo di strada, intrigante e suadente, bardata nei più fantasiosi costumi di una macabra carnevalata che si svolge senza interruzione per dodici mesi all’anno, con le saccocce piene di caramelle e coriandoli, e armi proprie e improprie nascoste nei drappeggi degli abiti sontuosamente ricamati, nel sottofondo delle scarpe di vetro, nelle acconciature torreggianti sulle grosse teste ingessate.
Il diavolo è bello, il diavolo è gentile, il diavolo è potente.
Il diavolo è eterno ed ha la pazienza del diavolo. Tempo e Denaro sono le sue armi di conquista, ne ha finché ne vuole, ne fa l’uso e l’abuso che vuole, ci prende le sue vittime per il collo e ce le strozza con grande soddisfazione, godendo da dio.
“Sacundì Sacundà” racconta una storia vecchia come il mondo e sempre di grande attualità, una storia che sembra essere stata scritta stamattina. Sempre la stessa storia, con un finale insolito: un inviato del re delle tenebre e degli abissi promette monti e mari e tutto e di più, pur di arraffare un’altra anima nera da portarsi all’inferno, ma fa cilecca, e la vittima di turno, un’avvenente fanciulla che bada più all’amore che agli interessi sporchi, ad un passo dal cedere alla tentazione fa mente locale e così liquida il corruttore fallito: “Sacundì, Sacundà, Sacundì cundì cundà”. Che non vuol dire niente e vuol dire tutto, basta decifrare il messaggio.