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Marco Schiavetta. Focus BES 
Bisogni Educativi Speciali: una riflessione critica
07 Maggio 2015
 

I Bisogni Educativi Speciali (BES) degli studenti,1 sono oggi al centro di una attenta riflessione sia degli insegnanti sia delle famiglie degli stessi alunni. Questo perché è stato permesso, con la Direttiva sui BES, al Consiglio di Classe di attivare un piano didattico individualizzato e personalizzato per tutti gli studenti che, anche senza una certificazione medica, mostrino la necessità di attenzioni speciali per il loro percorso formativo, però, la responsabilità dell’applicazione concreta del piano è lasciata agli insegnanti che vedono crescere il numero degli alunni BES nelle proprie classi. Tutti sono a favore di una didattica inclusiva, che ha l’obiettivo di rendere la scuola più responsabile ed in grado anche di arginare le differenze socio-economiche e culturali tra gli studenti, garantendo il diritto al successo di tutti gli alunni, anche di quelli con difficoltà. Ma come questo si stia cercando di realizzare non convince, troppe sono le cose che rischiano di sfuggire alla gestione degli insegnanti e delle famiglie, tra queste l’effettivo apprendimento degli alunni a cui viene riconosciuta una “difficoltà” ma non un insegnante di sostegno.

Gli alunni con Bisogni Educativi Speciali vivono una situazione particolare, che li ostacola nell'apprendimento e nello sviluppo: questa situazione negativa può essere a livello organico, biologico, oppure familiare, sociale, ambientale, contestuale o in combinazioni di queste. In questi casi i normali bisogni educativi che tutti gli alunni hanno (bisogno di sviluppare competenze, bisogno di appartenenza, di identità, di valorizzazione, di accettazione, solo per citarne alcuni) si “arricchiscono” di qualcosa di particolare, di “speciale” nel loro funzionamento. Il loro bisogno normale di sviluppare competenze di autonomia, ad esempio, è complicato dal fatto che possono esserci deficit motori, cognitivi, oppure difficoltà familiari nel vivere positivamente l'autonomia e la crescita, e così via.

Nel principio, definire, cercare e riconoscere i Bisogni Educativi Speciali non significa “fabbricare” alunni diversi per poi emarginarli o discriminarli in qualche modo, anche nuovo e sottile. Il suo valore è, invece, quello di rendersi bene conto delle varie difficoltà, grandi e piccole, per sapervi rispondere in modo adeguato. Essere un BES non è un'etichetta discriminante perché è amplissima, non fa riferimento solo ad alcuni tipi di cause e non è stabile nel tempo (in alcuni casi vi si può rinunciare in ogni momento). Si potrebbe dire che ogni individuo (anche adulto) può incontrare nella sua vita una situazione che gli crea Bisogni Educativi Speciali; dunque è una condizione che ci riguarda tutti e a cui siamo tenuti, deontologicamente e politicamente, a rispondere in modo adeguato e individualizzato.

Gli alunni con Bisogni Educativi Speciali hanno infatti necessità di interventi tagliati accuratamente su misura della loro situazione di difficoltà e dei fattori che la originano e/o mantengono. Questi interventi possono essere ovviamente i più vari nelle modalità (molto tecnici o molto informali), nelle professionalità coinvolte, nella durata, nel grado di “mimetizzazione” all'interno delle normali attività scolastiche (in questo caso si parla di “speciale normalità”: una normalità educativa-didattica resa più ricca, più efficace attraverso le misure prese per rispondere ai Bisogni Educativi Speciali). In alcuni casi questa individualizzazione prenderà la forma di un formale Piano educativo individualizzato-Progetto di vita, in altri sarà, ad esempio, una “semplice” e informale serie di delicatezze e attenzioni psicologiche rispetto a una situazione familiare difficile, in altri ancora potrà essere uno specifico intervento psicoeducativo nel caso di comportamenti problematici, e così via.

I Bisogni Educativi Speciali sono dunque molti e diversi: una scuola davvero inclusiva dovrebbe essere in grado di leggerli tutti (individuando così il reale fabbisogno di risorse aggiuntive) e su questa base generare la dotazione di risorse adeguata a dare le risposte necessarie. Realisticamente gli insegnanti e le famiglie anche nella più totale disponibilità e collaborazione, hanno risorse poco adeguate per rispondere efficacemente alle esigenze del mondo dei BES. C'è bisogno di una cornice forte che orienti questa lettura, una cornice concettuale e antropologica unica per cogliere le varie dimensioni dei bisogni “forti” e di quelli “deboli”, che rischiano di non essere riconosciuti con piena dignità.

L’ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health, Organizzazione Mondiale della Sanità, 2002) è il modello concettuale utile a questa lettura e che propongo qui a questo scopo e per la nuova Diagnosi funzionale educativa. È appropriato proporre la struttura concettuale dell’ICF, perché questo approccio parla di salute e di funzionamento globale, non di disabilità o patologie. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, infatti, la situazione di una persona va letta e compresa profondamente in modo olistico e complesso, da diverse prospettive, e in modo interconnesso e reciprocamente causale. Questo modello è utile per una lettura dei Bisogni Educativi Speciali in un’ottica di salute globale, per una comprensione qualitativa degli “ambiti” di difficoltà di un alunno e una definizione dei corrispondenti “ambiti” di risorse. La situazione di salute di una persona è la risultante globale delle reciproche influenze tra i fattori rappresentati nello schema in allegato.2

Condizioni fisiche e fattori contestuali agli estremi del modello: la mia dotazione biologica da un lato e dall'altro l'ambiente in cui cresco, dove accanto a fattori esterni (relazioni, culture, ambienti, ecc.) incontro fattori contestuali personali, le dimensioni psicologiche che fanno da “sfondo interno” alle mie azioni (autostima, identità, motivazioni, ecc.). Nella grande dialettica tra queste due enormi classi di forze (biologiche e contestuali) si trova il mio corpo, come concretamente è fatto (struttura) e come realmente funziona (funzioni). Ma il mio corpo agisce con delle reali capacità e performance (attività personali) e si integra socialmente (partecipazione sociale). Quando tutto questo va bene e agisce in sinergia, sarò sano e funzionerò bene, altrimenti sarò malato, o disabile, o con Bisogni Educativi Sociali, oppure... emarginato.

L'alunno che viene conosciuto e compreso, nella complessità dei suoi bisogni, attraverso il modello ICF, può evidenziare difficoltà specifiche in vari ambiti:

- condizioni fisiche: malattie varie, acute o croniche, fragilità, situazioni cromosomiche particolari, lesioni, ecc.;

- strutture corporee: mancanza di un arto, di una parte della corteccia cerebrale, ecc.;

- funzioni corporee: deficit visivi, deficit motori, deficit attentivi, di memoria, ecc.;

- attività personali: scarse capacità di apprendimento, di applicazione delle conoscenze, di pianificazione delle azioni, di comunicazione e di linguaggio, di autoregolazione metacognitiva, di interazione sociale, di autonomia personale e sociale, di cura del proprio luogo di vita, ecc.;

- partecipazione sociale: difficoltà a rivestire in modo integrato i ruoli sociali di alunno, a partecipare alle situazione sociali più tipiche, nei vari ambienti e contesti;

- fattori contestuali ambientali: famiglia problematica, cultura diversa, situazione sociale difficile, culture e atteggiamenti ostili, scarsità di servizi e risorse, ecc.;

- fattori contestuali personali: scarsa autostima, reazioni emozionali eccessive, scarsa motivazione, ecc..

In uno o più di questi ambiti si può generare un Bisogno Educativo Speciale specifico, che poi interagirà con gli altri ambiti, producendo la situazione globale e complessa di quest'alunno. Ovviamente, il peso dei singoli ambiti varierà da alunno ad alunno, anche all'interno di una stessa condizione biologica originaria (non esistono infatti due alunni con Sindrome di Down uguali) o contestuale ambientale (non esistono infatti due alunni figli di immigrati uguali). Il modello ICF (sia che venga usato per una diagnosi funzionale ufficiale – si veda il nuovo modello ICF di diagnosi funzionale – sia che ci serva per una comprensione più informale della situazione) ci aiuta a leggere le diverse situazioni di difficoltà degli alunni: alcune di esse saranno caratterizzate da problemi biologici, corporei e di capacità; altre da problemi contestuali ambientali, di capacità e di partecipazione; altre primariamente da fattori contestuali ambientali; altre principalmente da difficoltà di partecipazione sociale a causa di fattori contestuali ambientali inadeguati se non ostili.

In Italia l'ICF si è di diffuso con forza nel mondo dell'educazione e della Scuola, grazie anche al fatto che ha trovato una forte affinità con la cultura pedagogica italiana e con la sua visione antropologica, molto sociale e legata ai contesti di vita. Non succede lo stesso in altri Paesi europei, dove la cultura pedagogica ha seguito sviluppi diversi dalla nostra dove l'ICF viene osteggiato da chi segue una visione culturale e sociale delle difficoltà e disabilità perché ritenuto a torto troppo «medico» (Terzi, 2008). Infine, l'Intesa Stato-Regioni, siglata il 20 marzo 2008 sulla presa in carico globale dell'alunno con disabilità, prevede per la prima volta l'uso dell'ICF come modello antropologico su cui fare la diagnosi funzionale per gli alunni con disabilità: «La Diagnosi Funzionale è redatta secondo i criteri del modello bio-psico-sociale alla base dell'ICF dell'Organizzazione Mondiale della Sanità» (art. 2, comma 2).

 

Marco Schiavetta

 

 

1 Espressione introdotta per la prima volta nella scuola italiana dalla Direttiva del MIUR del 27 Dicembre 2012, dove vengono poste le basi normative per una didattica inclusiva, che sia in grado prima di riconoscere e poi di valorizzare le differenze tra gli studenti.

2 Cfr. http://lineadidattica.altervista.org/bes.html. Imparare Comunicare Agire in una Rete Educativa. Gli alunni con Bisogni Educativi Speciali e il modello antropologico ICF dell’OMS.


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