non omnis moriar…
(Quinto Orazio Flacco, Odi)
La razionalità dell’uomo di fronte agli spettacoli che la natura costantemente offre, vacilla, arretra, si blocca.
L’immensità dei cieli, l’inenarrabile distanza tra i corpi stellari, la forza distruttiva dei tornadi, dei mari in tempesta e dei venti, costringono anche alcuni filosofi ad ammettere l’esistenza di un quid non intelligibile presente negli elementi naturali, lo stesso che poi diventa il sublime a cui si ispirano poeti ed artisti...
Emozioni dell’uomo, momenti lirici della sua vita.
A questi ne seguono altri… momenti più concreti, fisici, prosastici… quando sempre l’uomo, in virtù della propria razionalità e in ossequio ai più rapidi e straordinari sviluppi tecnico-scientifici, si chiede se sia legittimo o no fissare una linea di demarcazione tra ciò che è lecito fare e ciò che va rifiutato di fronte all’incalzare dei processi manipolativi non sempre rispettosi delle cosiddette “leggi naturali”.
Non è facile né semplice dare una risposta.
Una parte della cultura moderna non accetta limiti anche se da più parti provengono appelli alla riflessione e non ultimo il richiamo al rispetto del “dato” naturale da parte del filosofo Jurgen Habermas.
Personalmente credo non si tratti – semplicisticamente – di consenso o di rifiuto, ma piuttosto di rapportare la concezione che si ha della natura alle diverse forme di manipolazione. Chi sostiene la teoria biologica del “fissismo” ossia del “creazionismo” e chiede limiti alla ricerca e chi, al contrario, sostenendo l’evoluzionismo, è favorevole ad ogni forma di modificazione, dovrebbe avere sempre presente la natura propria dell’uomo, il suo essere persona, la complessità degli strati ontologici dell’uomo/persona, costituito, appunto, da corpo, anima e spirito e, in conseguenza, esaminare su piani distinti la ricerca scientifica e l’applicazione della stessa.
La ricerca scientifica, ovviamente, è fondamentale per il progresso, purché sia fatta con mezzi leciti e sia indirizzata a fini umanistici, e sia quindi a servizio della persona umana e di una migliore qualità della vita, e non contro. Arrivare, ad esempio, a poter intervenire positivamente sul patrimonio genetico dell’embrione umano può rappresentare un traguardo biomedico importante per la cura di malattie ereditarie o congenite finora inguaribili. Lo stesso vale per il mondo animale e per l’ambito vegetale. Parallelamente non possono ignorarsi gli effetti negativi provocati dall’uomo sul territorio e su se stesso: pensiamo alla gravità della questione ecologica, al disboscamento, all’inquinamento, alla cementificazione selvaggia, al dissesto idrogeologico, ai rifiuti tossici ecc.
Il disastro è tale che richiede forse una nuova visione antropologica oltre che un continuo confronto tra culture, confronto che in passato non sempre ha portato risultati positivi.
Giannino Piana (teologo) scrive: il conflitto tra le culture mette in luce come la possibilità di un confronto arricchente è strettamente dipendente dalla disponibilità di ciascuna cultura a riconoscere la propria parzialità e dalla capacità di ricuperare un referente, che sta oltre la “cultura” (e oltre la tecnica), quale criterio valutativo della realtà e quale condizione per la sua crescita.
D’altra parte, se nella nostra società tutto si riduce a cultura, si rischia di assegnare all’uomo un potere dispotico sulla realtà, mentre si dovrebbe, semplicemente ripensare al rapporto tra natura e cultura nel segno di una positiva dialettica. Un aiuto si potrebbe attingere alla Bibbia, e specificamente dai racconti della creazione (Genesi 1-2) dove la relazione dell’uomo con la natura, quella cosmica e (a maggior ragione) quella umana, viene descritta in termini di “dominio” e di “conservazione” sottolineando quindi la necessità di un equilibrio, equilibrio sempre aperto tra l’esigenza di intervenire su di essa per modificarla e l’esigenza di salvaguardare la sua identità.
Argomento questo ampiamente trattato da Hans Jonas in una delle sue opere più conosciute dove il filosofo va alle radici filosofiche del problema della responsabilità, che non concerne soltanto la sopravvivenza, ma l'unità della specie e la dignità della sua esistenza.
È la natura stessa che sembra chiedere una tutela della sua integrità contro le minacce dello sviluppo tecnologico e quindi l’orizzonte dell’etica si dilata in quanto il suo oggetto non sono più i rapporti interumani, ma l’intera biosfera.
Tra il principio speranza di Ernst Bloch e il principio disperazione di Günther Anders, il principio di responsabilità, secondo Jonas, dà voce a una via di mezzo, nel tentativo di coniugare in un modello unitario, etica universalistica e realismo politico.
Per di più credo che la “creazione” (termine con cui viene designata la natura) sia non un concetto statico, ma dinamico. Creazione è si l’atto con cui Dio ha dato origine al mondo, ma creazione, è, in qualche misura, anche il processo successivo, con il quale il mondo, uscito dalle mani di Dio e rimesso nelle mani dell’uomo, viene portato a compimento.
Oggi la ricerca filosofica contemporanea – dalla fenomenologia al personalismo – quando applica il concetto di natura all’uomo, lo coniuga con l’idea di persona nella molteplicità e complessità dei suoi significati. In particolare, una concezione “personalistica”, e non naturalistica dell’uomo, implica il coinvolgimento della cultura in tutte le sue componenti (biologica, psichica, spirituale). E proprio a questo concetto di natura e di uomo bisognerebbe far riferimento quando si vuol valutare le diverse forme di sperimentazione oggi in corso.
Senza dubbio vanno accettate quelle curative e migliorative, ma bisogna riflettere e ponderare seriamente quelle che comportano una sostanziale modifica del soggetto umano nei suoi tratti distintivi. L’uomo non può, né deve danneggiare se stesso, non può impoverire la sua umanità, né distruggere l’ambiente dal quale trae vita.
La natura è, e dovrà rimanere, la matrice di ogni bene umano che l’uomo potrà arricchire attraverso lo studio e la ricerca.
L’umanità resta e vive attraverso quei valori che gli uomini sono riusciti a creare e sono le sole eredità che si possono trasmettere: non omnis moriar, può veramente asserirlo di sé solo l’uomo che, arricchendo la propria umanità, ha fatto veramente più ricchi gli uomini tutti.
Giuseppina Rando
Bibliografia
Jurgen Habermas, Il futuro della natura umana, Einaudi, Milano 2001.
Giannino Piana, Bioetica tra scienza e morale, UTET, 2007.
Hans Jonas, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino 1990.
Ernst Bloch, Il principio speranza, Garzanti, 2005.
P.P. Portinaro, Il principio disperazione. Tre studi su Günther Anders, Bollati Boringhieri, Torino 2003.