La sentenza della Corte europea dei diritti umani segnala la gravità dell'assenza del reato di tortura nel nostro codice penale. Ma evidenzia anche come il nostro ordinamento non sia dotato di una norma relativa al codice identificativo per gli operatori di polizia in servizio di ordine pubblico. Così è scritto nella sentenza: quando si utilizzano 'poliziotti con il volto coperto per il mantenimento dell'ordine pubblico o per effettuare un arresto, questi agenti sono tenuti a mostrare un segno distintivo - per esempio un numero di matricola - che preservando il loro anonimato permetta di identificarli in vista di un loro interrogatorio nel caso in cui l'operazione fosse successivamente oggetto di controversia'. È quanto già accade in Spagna, Francia, Germania, Svezia, Irlanda del nord, Svizzera, Grecia. Perché mai solo in Italia anche la semplice richiesta di un simile provvedimento suscita tanto scandalo?
La risposta generalmente fornita è puerile e pretestuosa: quella misura metterebbe a repentaglio l'incolumità degli agenti. Non varrebbe nemmeno la pena replicare tanto è pacifico che la corrispondenza tra il codice e l'identità dell'agente interessato sarebbe a disposizione esclusivamente della magistratura, nel caso di indagine giudiziaria.
Dunque, è un tema sul quale si deve discutere, e in tempi rapidi: e proprio per questo motivo da molti mesi ho avuto incontri e ho partecipato a confronti con i massimi dirigenti dei sindacati più rappresentativi delle forze di polizia. In programma, un convegno prima dell'estate sul tema cruciale della formazione (culturale e tecnica) degli operatori di polizia: un contributo positivo a quel processo, prezioso e ineludibile, di cooperazione tra i cittadini e gli uomini e le donne e gli apparati dello stato.
Luigi Manconi
senatore del Partito democratico
Fonte: www.senatoripd.it, 09/04/2015