Etty Hillesum, ebrea olandese, assassinata dai nazisti ad Auschwitz il 30 novembre del 1943, a soli 29 anni, è una figura femminile che negli ultimi vent’anni ha suscitato grande interesse, e non solo perché testimone consapevole (Diario e Lettere) della persecuzione nazista contro gli ebrei, ma anche per quel percorso “singolare” verso ciò che è veramente essenziale: la conoscenza di sé nel rapporto con gli altri e con il mondo.
Se è indubbia la rilevanza storica e psicologica degli scritti della Hillesum, lo è ancor più l’originalità della sua esperienza spirituale che – pur in condizioni esistenziali estreme – assume per diversi aspetti il carattere tipico di un’esperienza letteraria.
Amsterdam, marzo 1941: la guerra infuria in tutta Europa, ma nelle straordinarie pagine iniziali del Diario di Etty rimane ancora sullo sfondo. La ragazza è talmente presa dalla sua difficoltà di vivere, dai suoi interessi intellettuali e amorosi, dai problemi familiari, dalle depressioni improvvise, dalle angosce che quasi sembra non accorgersi di quello che avviene intorno a lei.
Il suo percorso di trasformazione, quindi, non prende inizio dalle persecuzioni in atto, ma da esigenze intime, personali: […] È tutto sbagliato un’altra volta. Io voglio qualcosa e non so cosa. Di nuovo mi sento presa da una grandissima irrequietezza e ansia di ricerca, tutto è tensione nella mia testa […] è ricominciata quella scontentezza, quel ricercare irrequieto e sentire il vuoto dietro le cose, sentire che la vita non trova il suo compimento ma è un rimescolio senza costrutto.1
Sembra che Etty soffra dello stesso tormento che colpì Campana o Rimbaud e al lettore appare fragile e smarrita di fronte una realtà che scopre sconosciuta e ogni giorno più instabile (Paura di vivere su tutta la linea. Cedimento completo. Mancanza di fiducia in me stessa. Repulsione. Paura…), ma nel medesimo tempo la giovane avverte dentro di sé una forza, una totalità cui vorrebbe pervenire per affondare le proprie radici nell’essere stesso dell’umanità.
Le viene in aiuto Julius Spier, berlinese di nascita, psicoterapeuta e psicochirologo, discepolo di Jung, che traspone i disagi di Etty sul piano spirituale e le propone come rimedio di scrivere un diario e leggere la Bibbia e i Vangeli. Ma lei, amante della letteratura, vuole alternare queste letture ad altre e sceglie Dostoevskij e altri classici russi, e poi Rilke, il filosofo Agostino e tanti altri.
Con Rilke, soprattutto, si trova in perfetta sintonia, e inizia a sperimentare una scrittura trans-egoica che parla e guarisce.
Un’intellettuale, Etty, ma anche una ragazza in carne e ossa che vuole vivere appieno la sua vita affettiva e s’innamora di Julius Spier, un uomo carismatico che presto diventa il fulcro di tutti i suoi pensieri e di tutte le sue emozioni, diventa il suo amante.
Un amore che suscita in lei le più taglienti contraddizioni, immense angosce e ancora paure.
Dalla prima parte del Diario emerge tutta la difficoltà di trovare un equilibrio tra la sete spirituale di leggere, conoscere, esprimersi, pregare e il desiderio costante di avere un profondo rapporto d’amore con l’uomo che ama.
È proprio questo amore a segnare l’inizio della sua straordinaria evoluzione spirituale.
La scrittura diviene per lei un mezzo per metter le radici nella vita, un nascondiglio per sfuggire al caos e far luce in se stessa; diventa una stanza tutta per sé, un luogo e un tempo intimo in cui Etty entra in contatto con le proprie emozioni, le più vere e sentite, riesce a superare i sentimenti negativi, accetta quello che prova e rafforza la propria autostima. La scrittura acquista per lei le caratteristiche di scrittura etica, come quella dei grandi della letteratura: James, Tolstoj, Cekov, Kafka.
Questo percorso, che parte dall’introspezione, ci appare come uno degli aspetti della modernità della Hillesum che – tra l’altro – riesce a elaborare il concetto attualissimo della responsabilità individuale: […] Il marciume che c’è negli altri c’è anche in noi, continuavo a predicare; e non vedo altra soluzione, veramente non ne vedo nessun’altra, che quella di raccoglierci in noi stessi e di strappar via il nostro marciume. Non credo che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza aver prima fatto la nostra parte dentro di noi. È l’unica lezione di questa guerra: dobbiamo cercare in noi stessi, non altrove.2
È un passo che invita il lettore di oggi a riflettere su quelle condizioni apparentemente normali che possono indurre gli uomini a commettere il male quando esso si concretizza nel rifiuto o nell’incomprensione dell’altro.
Interessante su questo argomento è l’analisi della filosofa Wanda Tommasi,3 la quale si sofferma sul radicamento di Etty nella differenza femminile che si può ravvisare anche nel suo modo di lottare contro il male a partire da sé e dalle proprie relazioni con gli altri. Partire da sé è una modalità di pensiero e di azione – una pratica – a cui ha dato nome e dignità politica il “movimento delle donne”. Etty Hillesum, pur non collocandosi in un orizzonte femminista, parte spontaneamente da sé e dalle proprie relazioni per contrastare il male che le circostanze impongono drammaticamente alla sua attenzione.
Sempre secondo la Tommasi, il punto di vista della Hillesum (così vero e nello stesso tempo così inquietante) è stato trascurato anche da un’acuta pensatrice politica quale l’ebrea Hanna Arendt, che ha descritto la barbarie nazista come male radicale, assoluto, imperdonabile.4 A più di dieci anni di distanza, tuttavia, la stessa Arendt, indagando sulla genesi del male, concluderà che la terribile bestia può nascondersi in qualsiasi uomo se questi rinuncia al pensare da sé al dialogo con l’altro e alla responsabilità personale.5
Ora la singolarità di Etty consiste appunto nell’aver compreso subito che il male è generato dall’uomo perché dimora dentro l’io di ciascuno e l’intuizione l’ha avuta scrivendo.
Scrivendo ha scoperto l’interiorità del proprio essere, ha scoperto quella forza di vita più grande di ciò che subisce e vede subire.
A Westerbork, un campo di concentramento di transito dove trascorre gli ultimi mesi della sua vita, prima del trasferimento finale ad Auschwitz, e dove continua a scrivere il suo diario e le sue lettere e a occuparsi con abnegazione totale dei malati nelle baracche dell’ospedale, Etty diventa forza attiva e scopre in sé capacità insolite di agire, di intraprendere, di essere presente e di aiutare i bambini, le donne, gli uomini di ogni età: una forza di vita, forse anche passiva, ma che genera una inaudita capacità di subire e sopportare, di lasciarsi coinvolgere dalle sofferenze degli altri, di consentire che si aggiungano e si mescolino a quelle che sopporta il suo corpo. Un’empatia totale.
Dall’amore per la scrittura alla scrittura dell’amore – scrive Sylvie Germain – si può giungere all’amore autentico, all’amore universale.6
La scrittura diventa la sua più grande amica: l’aiuta a superare il dolore e l’oltraggio, diventa la resistenza umana all’essere umano, una resistenza che dà forza alla dimensione interiore, nella quale scoprirà l’Invisibile che si nasconde dietro la realtà fisica, ascolterà l’Infinito che è dentro di sé e la spinge ad andare oltre i confini del proprio io.
Nei suoi scritti, il rapporto tra letteratura e vita, scrittura individuale e storia appare così intricato che risulta difficile definire dove finisce l’una e comincia l’altra.
Fin dalle prime pagine del Diario il lettore percepisce lo sforzo di Etty di comunicare la sua esperienza; nel momento in cui vive quei fatti sente qualcosa di indicibile, di ineffabile: il miracolo quotidiano della presenza – quel viso, questo fiore, quell’atmosfera irripetibile – è vivo mentre lo vive, ma sfuggente quando si mette a scrivere.7
Ancora più difficile diventa poi, per la giovane ebrea, trasformare l’esperienza esistenziale di Westerbork in scrittura che non è più scrittura intima, bensì testimonianza.
Etty avrebbe voluto essere scrittrice, non testimone. La vita, però, nel suo imperscrutabile mistero, le ha affidato il compito di essere testimone, e lei accetta di assolverlo: [...] dovrei impugnare questa sottile penna stilografica come se fosse un martello e le mie parole dovrebbero essere come tante martellate, per raccontare il nostro destino e un pezzo di storia com’è ora e non è mai stata in passato – non in questa forma totalitaria, organizzata per grandi masse, estesa all’Europa intera. Dovrà pur sopravvivere qualcuno che lo possa fare [...].8
Anche il suo raccontarsi è storia, è un dire che si veste ora di immagini poetiche ora, invece, di poche essenziali parole, ma bastevoli a comunicare l’orrore di quel mostruoso martirio.
[…] Quella baracca talvolta al chiaro di luna, fatta d’argento e d’eternità: come un giocattolino sfuggito alla mano distratta di Dio […].9
Amore per la bellezza della natura e pianto del cuore per la sventura subita.
La bellezza, purtroppo, non elimina la sciagura, ma fa sentire la dolcezza e la pietà del bello; l’amore per la bellezza è, per la Hillesum come per la Weil, amore per tutte le cose veramente preziose che la cattiva sorte può distruggere e nel campo di concentramento, quando attorno a lei ci sono solo fango e lacrime, Etty prova la gioia di donare a Dio il profilo di una nuvola, la pioggia, il volo dei gabbiani, il giallo dei lupini.
[…] Ha scritto ciò che viveva e ha vissuto ciò che scriveva, con una rara sintonia tra vita e scrittura, e le due cose si fondono in un unico e stesso movimento […] Tra la sua scrittura e la sua vita non c’è nessuna distanza, una rilancia l’altra come l’inspirazione e l’espirazione si alternano per formare un unico movimento continuo, il respiro.10
L’ultimo scritto è una cartolina lanciata dal vagone numero 12 del treno che la mattina del 7 settembre 1943 la porta a morire ad Auschwitz. La cartolina, indirizzata a Christiane Von Noeten, fu raccolta e spedita da alcuni contadini. Vi si leggeva: Abbiamo lasciato il campo cantando.
Nel treno della morte, il piacere interiore della scrittura l’ha accarezzata ancora una volta, le ha permesso di varcare spazio e tempo e di entrare con gioia nell’oltre. Riecheggiava nella sua mente il verso di Rilke: Terra, non è questo ciò che vuoi / invisibile risorgere in noi?
Anche se tanto tempo è passato da quella terribile epoca e molte cose sono cambiate e nel mondo sono apparsi nuovi problemi, ci troviamo sempre di fronte le stesse fondamentali questioni.
La sua esperienza, forse, potrebbe aiutarci a vivere e ad affrontare meglio il nostro tempo perché Etty ha scritto, certamente, anche per noi.
Le generazioni si susseguono, la voglia di cambiare il mondo resta e, per fortuna, i modi di sentire sono sempre gli stessi. Qui risiede l’importanza della sua scrittura e mi sembra opportuno ricordare, a questo proposito, le parole di Sylvia Plath: La scrittura è un rito religioso: è un ordine, una riforma, una rieducazione al ri-amore per gli altri e per il mondo come sono e come potrebbero essere.
Una creazione che non svanisce come una giornata alla macchina da scrivere o in cattedra.
La scrittura resta: va sola per il mondo.
Giuseppina Rando
1 Etty Hillesum, Diario1941-1943, a cura di J.G. Gaarlandt, trad. di C. Passanti, Adelphi, Milano 1985, p. 39.
2 Ivi, pp. 99-100.
3 Wanda Tommasi, Etty Hillesum. L’intelligenza del cuore, Edizioni Messaggero, Padova 2002.
4 Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, trad. di Amerigo Guadagnin, Edizioni di Comunità, Milano 1996.
5 Hannah Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, trad. di P. Bernardini, Feltrinelli, Milano 1995.
6 Sylvie Germain, Etty Hillesum, Pygmalion, Paris 1999, p. 121 (trad. it.: Etty Hillesum, una coscienza ispirata, Edizioni Lavoro, Roma 1999).
7 Wanda Tommasi, Etty Hillesum, op. cit.
8 Etty Hillesum, Diario1941-1943, op. cit., pp. 162-163.
9 Ivi, p. 212.
10 Ingmar Granstedt, Ritratto di Etty Hillesum, trad. dal francese di Laura Passerone, Edizioni Paoline, Milano 2003, p. 235.
(Questo saggio è contenuto nel volume: Giuseppina Rando, Le belle parole, Scrittura Creativa Edizioni, Borgomanero 2013, pp. 216, € 15,00)