Leggo e ascolto, in questi giorni, i proclami a proposito della necessità di combattere la criminalità organizzata lanciati degli uomini che rappresentano le istituzioni italiane. Sono tutti simili: "Annienteremo la mafia", "Perseguiremo la corruzione" e il cavallo di battaglia "Arresteremo Messina Denaro". Sono parole di circostanza, che affrontano una rete delittuosa di proporzioni immani come se fosse una gang di teppistelli capeggiata da un unico bullo. Chi opera nella politica, nell'informazione, nella cultura, nello sport, nei campi legati al sociale o agli affari degli appalti pubblici sa perfettamente quanto sia presente il crimine organizzato nella società italiana e se chiude uno o entrambi gli occhi (e le orecchie e la bocca, come le scimmiette giapponesi) è solo perché ne ha convenienza. Chi è onesto e non vuole maneggiare soldi luridi, in Italia – se lavora nei suddetti campi – è costretto ai margini; se alza la voce contro il malaffare subisce intimidazioni, avvertimenti e si trova ogni giorno in pericolo di vita. La mafia, che nessuno, in questi giorni, definisce correttamente, ce l'hanno spiegata i pentiti, quelli veri. Vincenzo Calcara l'ha descritta con una sintesi molto efficace: è formata da cinque entità: «Cosa Nostra, 'Ndrangheta, pezzi deviati dello Stato, della Chiesa e della massoneria. Cinque centri di potere diversi però complici, uniti come in un unico corpo. Cosa Nostra da sola non esisterebbe neppure, sarebbe sempre stata vulnerabile. Le cinque entità esistono ancora e sono ancora più pericolose di prima. Tutti gli uomini che erano al vertice di questi centri di potere 20 anni fa hanno lasciato degli eredi che portano avanti questo potere in maniera anche più raffinata e pericolosa di prima».
I media, legati alla politica, alla Chiesa e alla massoneria, sono anch'essi – in molti casi – strumenti controllati dalla rete criminale. Leggendo i quotidiani che escono in questi giorni, l'opinione pubblica trae l'errata conclusione che Messina Denaro sia l'uomo più potente di Cosa Nostra, il "bullo" a capo della "gang", e che nel caso fosse catturato, la mafia risulterebbe sconfitta. In realtà, la mafia è un'idra velenosa e da ognuna delle sue cinque teste ne crescono altre, i cui nomi rappresentano i vertici del potere, in tutte le sue forme. La vera forza di Messina Denaro la spiega ancora il pentito Calcara: «È custode di segreti tremendi, potentissimi; fa comodo alle forze occulte». Pochi sono gli eroi che si impegnano contro la mafia. I più grandi sono stati uccisi, perché avevano intrapreso la via del coraggio. Il loro messaggio è ancora vivo e indica con chiarezza alle istituzioni e alla società civile quale sia la via da seguire. A parole, molti sembrano onorare la loro memoria e dichiarano di averne raccolto l'eredità. In realtà, è un messaggio che spaventa chi – in misura più o meno consistente – trae beneficio dall'esistenza dell'idra velenosa. EveryOne Group denuncia da anni, anche nelle sedi internazionali, i legami fra le cinque entità. Qualche anno fa, abbiamo inviato a ciascun parlamentare europeo un album di foto raffiguranti politici italiani in atteggiamento amichevole nei confronti di boss mafiosi, insieme a un dossier con le dichiarazioni di pentiti e testimoni. Non è servito a nulla: le istituzioni non sono preparate o non hanno la volontà di affrontare questo spaventoso fenomeno attraverso misure serie, ma preferiscono limitarsi alla creazione di blandi "gruppi di lavoro". Così il crimine prospera e varca confini sempre diversi. Personalmente, ho anche scritto un libro per bambini che spiega la mafia alle nuove generazioni attraverso l'esempio di Paolo Borsellino e del "pool antimafia". L'ha illustrato l'artista Fabio Patronelli, con toccante realismo. Il libro – che si intitola Il giudice Paolo – ha entusiasmato Salvatore Borsellino, il fratello del magistrato eroe, che ne ha scritto la prefazione, un breve testo di immenso valore educativo. L'opera ha riscosso l'interesse di alcuni fra i principali editori di libri per l'infanzia (l'ho inviata a tutti). È stata addirittura inserita nei cataloghi di vendita, con tanto di ISBN. Tuttavia, con un pretesto o con l'altro, ciascun editore ha poi rifiutato di pubblicarla e distribuirla. Una casa editrice mi ha scritto che a una seconda lettura, l'opera è risultata "inadatta ai bambini". Il direttore editoriale di un'altra ha pensato addirittura di telefonarmi, usando un tono di voce decisamente aggressivo: "Lei non pubblicherà mai il suo libro e sa perché? Perché Borsellino era un bugiardo". Così non si combatte la mafia. Così la si rafforza, si regala una facciata di rispettabilità ai suoi orrori e si uccide il sogno che i bambini di oggi possano vivere domani in un mondo senza mafia, calandoli – al contrario – in un incubo senza uscita, dominato dalla presenza di un mostro dalle cinque fauci avvelenate.
Dulcis in fundo, il libro uscirà comunque nel 2015, pubblicato da un editore indipendente e coraggioso. Resta lo sconcerto di tanta censura nei confronti di un'opera delicata ed altamente educativa, impreziosita da illustrazioni fedeli alla vicenda storica e umana di Paolo Borsellino e resa unica dalla commovente prefazione del fratello di Paolo, Salvatore, anch'egli in prima linea contro la piaga del crimine organizzato.
Roberto Malini