Ci sono tanti modi, per raccontare la Storia di Milano. Attraverso i suoi monumenti, i personaggi, le sue attività economiche, la moda, la criminalità...
Oppure, per mezzo del calcio. Certo, anche il football fa parte dell’immagine e della cultura di una città, tanto è vero che all’estero Inter e Milan rappresentano un brand esattamente come il Duomo o la Scala. E il fatto che il Museo di San Siro sia uno dei più visitati di Milano (se non il più), lo sta ampiamente a dimostrare.
Le due squadre meneghine sono la città, ed è quello che Alberto Figliolia, Davide Grassi e il sottoscritto hanno voluto testimoniare con il recentissimo Il derby della Madonnina (Book Time Editore, 282 pagine, 16 euro). Un libro che, nei suoi primi quattro capitoli dedicati alle grandi vittorie di Inter e Milan nella stracittadina, ai protagonisti più o meno famosi (“Facce da Derby”) e alle partite più appassionanti o curiose (“Derby sul filo del rasoio”), si pone come una sorta di enciclopedia rossoneroazzurra con la sua settantina di sfide narrate (dalla prima del 1908 a Chiasso al gol di tacco di Palacio nel 2013), ricche di pathos e aneddoti, corredate da numerose foto e accompagnate dai rispettivi tabellini.
Nella postfazione, però, gli autori allargano lo sguardo al rapporto tra le due squadre e la città che le ha partorite, sovrapponendo la Storia di Milano alle vicende di Inter e Milan in un’analisi che ha inizio alla fine del XIX secolo, quando la città, culla della prima rivoluzione industriale italiana e di ripetute Esposizioni, laboratorio di tutte le modernità, fu all’avanguardia anche nel nascente football insieme a Torino e Genova, con il Milan che si aggiudicava ben tre titoli nel 1901, 1906 e 1907.
La metropoli dove viviamo oggi ha avuto origine proprio da lì, da quel momento storico in cui tutto si inventava, si produceva e riproduceva in modo frenetico, esattamente come quell’Internazionale nata da una costola dei cugini rossoneri nel 1908. Come si legge nel libro: «Milano contava 700mila abitanti circa, e il suo orizzonte era segnato dalle ciminiere. Mentre il suo cuore bimillenario era percorso dai Navigli, sulle cui rive la nuova squadra meneghina disputò le sue prime partite. Il terreno di gioco interista, infatti, si trovava all'altezza del n. 115 di Ripa Ticinese, accanto al Naviglio Grande, e ciò poteva spesso costringere ad andare a recuperare i palloni scagliati dai pedatori nelle verdi acque del canale-fiume». A quell’epoca, il Milan aveva già calcato e lasciato il suo primo campo in via Andrea Doria, situato proprio dove ora si staglia l’enorme mole della Stazione Centrale. Poi, prima di San Siro (inaugurato con un derby nel 1926), i rossoneri giocarono all’Acquabella in piazzale Susa, al Campo di Porta Monforte in via Fratelli Bronzetti (confinante con l’abbandonato cimitero di Porta Vittoria), al Velodromo Sempione in via Arona, nello stadio di viale Lombardia. Un continuo migrare nella periferia milanese che esaltò ancora di più il radicamento della squadra con i quartieri più popolari della città, dove non casualmente i casciavitt furono sempre in prevalenza. Mentre i bauscia neroazzurri, forse perché si accomodavano a vedere la loro Inter nella centrale Arena (solo saltuariamente condivisa con il Milan), vivevano soprattutto all’interno dell’ormai borghese cerchia dei Navigli.
Milano non fu mai una città fascista, come disse lo stesso Mussolini. E di conseguenza il fascismo non portò bene a Milano, calcisticamente e non solo: dalla marcia su Roma del 1922 alla fine della guerra furono soltanto tre gli scudetti conquistati dall’Inter, contro addirittura nessuno rossonero.
Ma non appena la dittatura fu defunta, tutto cambiò radicalmente. «La nascita della Rai, l’avvio dei lavori per la metropolitana, l’innalzamento della Torre Velasca e i lavori per il centro direzionale in Garibaldi: la dinamica Milano degli anni Cinquanta si lanciava verso una nuova avventura. E, parallelamente a quel ruolo di traino e innovazione che Milano innegabilmente rivestiva, il calcio meneghino conosceva le sue rivincite. Sicuramente non si trattava di un caso, e il legame tra potere economico e potere calcistico sarebbe diventato sempre più solido con il passare degli anni. Addirittura sei dei dieci campionati del decennio vennero vinti dalle due milanesi», a cui si sommarono i cinque degli anni ’60, quando Inter e Milan si issarono anche sul tetto d’Europa (con quattro Coppe dei Campioni) e del mondo (con tre Coppe Intercontinentali).
La città, dunque, era risorta insieme al suo calcio. Ma non appena lo slancio del boom finì, si ritrovò fredda e malata per la devastazione sociale ed umana che quel fenomeno aveva provocato (come spiegò perfettamente il grande Bianciardi). Così, inquinata dalle fabbriche, invasa dalle auto, uccisa dalla bomba di piazza Fontana e impaurita dal terrorismo, Milano ricadde in crisi insieme alle sue squadre, che in tutti gli anni Settanta si aggiudicarono la miseria di due tricolori.
Per rivedere Inter e Milan di nuovo in auge in Italia ed Europa si dovette attendere la fine degli anni ’80, quando i tanti soldi della socialista “Milano da bere” invasero la capitale della pubblicità e delle tv private, dell’effimero e del narcisismo. L’Inter, dopo lo scudetto record del 1989, fece collezione di Coppe Uefa, mentre il Milan del presidente imprenditore e politico si laureò Campione d’Europa per due anni di fila (1989, 1990), continuando poi a cavalcare l’onda durante tutto il decennio, indifferente a Tangentopoli e ad una metropoli che si scopriva leghista e ripiegata su se stessa, di nuovo inondata da colate di cemento.
Unica città d’Europa a potere vantare le sue due squadre vincitrici della Coppa dei Campioni-Champions, nel 2003 e nel 2005 Milano offrì al mondo del calcio la sfida fratricida nelle semifinali e nei quarti di Champions. Il Milan vinse in entrambe le occasioni, e si aggiudico due edizioni del maggiore trofeo continentale. Ben presto, però, arrivò la rivincita dei neroazzurri, “miracolati” da Calciopoli ma poi capaci di aggiudicarsi uno storico Triplete nel 2010.
Indirizzato più agli appassionati e agli storici del football che ai tifosi veraci, il volume è arricchito da una prefazione che regala le impressioni e i ricordi di chi, il derby, l’ha vissuto in campo come i milanisti Prati, Evani e Colombo, o in famiglia a fianco di un protagonista, come Gianfelice Facchetti o Federico Jaselli Meazza, nipote del mitico Giuseppe.
Saludi