I personaggi de L’Orlando Furioso, le imprese di valorosi cavalieri, la passione per Angelica che diverrà poi follia d’amore rivivono fino all’11 gennaio 2015 a Palazzo Magnani di Reggio Emilia nella grande mostra “L’Orlando Furioso: incantamenti, passioni e follie. L’Arte contemporanea legge l’Ariosto”, a cura di Sandro Parmigiani (Catalogo Silvana Editoriale), che intende rileggere e reinterpretare in chiave contemporanea l’immaginario ariostesco, carico di suggestioni e connessioni di evidente attualità.
L’esposizione intende celebrare Ludovico Ariosto, nato a Reggio Emilia nel 1474 e morto a Ferrara nel 1533, celeberrimo autore dell’Orlando Furioso.
È noto che l’Orlando Furioso – se si considerano le varie edizioni, le traduzioni in lingua straniera, gli adattamenti teatrali (come non ricordare la memorabile messa in scena di Luca Ronconi, su testo di Edoardo Sanguineti, nel 1969, che peraltro è documentata in mostra da alcune fotografie di Franco Vaccari) – è una delle opere che hanno goduto nel tempo, pur con qualche periodo di oscuramento, di più vasta ammirazione e interesse, proprio per la sua intima, così “moderna” struttura, con il perenne incastro di trame.
La personalità dell’Ariosto proteso in un estrema apertura verso il reale e ad un tempo verso il fantastico, quale era propria di una poesia che avvertiva in sé il continuo bisogno di nuovi orizzonti e di nuove situazioni. L’osservazione riguarda da una parte l’aspetto biografico – le sofferenze dell’uomo Ariosto – ma dall’altra può offrire singolari spunti di approfondimento delle relazioni che intercorrono tra l’uomo e il poeta e gettare una luce suggestiva sulla sua capacità di portare anche disagi personali in una zona interiore tale da influenzare notevolmente in una zona interiore tale da influenzare notevolmente le proprie poetiche. È appunto così che lavora l’Ariosto portando nella tradizione cavalleresca ferrarese questo sentore di vita vissuta, e tra gli slanci della fantasia o tra le stesse simboliche immaginazioni del magico e del meraviglioso, gli occhi e il sorriso e l’interpretazione che scaturiscono da un senso aperto della realtà, sì che tra le pieghe del meraviglioso è lecito scorgere da una parte l’affascinante cantore delle libere fantasie, ma dall’altra il poeta che giunge ad esse come per chiudere in un simbolo il sentimento del vaneggiare umano.
Anche in campo artistico, la fortuna dell’Ariosto e del suo poema cavalleresco è stata assai diffusa – tra i tanti nomi che si possono ricordare ci sono quelli di Tiziano e Guido Reni, di Fragonard e di Dorè, con le infinite metamorfosi nei secoli del personaggio di Angelica (Tra le quali Ruggero che salva Angelica di Ingres, conservato al Louvre di Parigi), così come nell’illustrazione moderna e contemporanea e nel cinema. A fare da ideale incipit alla mostra e a simboleggiare la fortuna del poema ariostesco, è un importante dipinto ad olio su tela di Simone Cantarini, Angelica e Medoro, 1645 circa, della Collezione CREDEM.
La mostra di Palazzo Magnani, a quarant’anni delle celebrazioni del cinquecentesimo anniversario, del 1974, della nascita dell’Ariosto a Reggio Emilia – che produssero iniziative varie, in particolare al Palazzo dei Diamanti di Ferrara, a cura di Franco Farina, con artisti noti come Fabrizio Clerici, grande patriarca dell’illustrazione e Franco Patruno, quest’ultimo con le sue stupende tavole grafiche in bianco e nero (ora proprietà della Fondazione CARIFE), e l’esaltante convegno promosso dal Liceo Classico “Ariosto” di Ferrara.
L’esperienza reggiana parte in qualche modo dalle premesse estensi del ‘74 – non casualmente la mostra di Palazzo Magnani ripropone l’Omaggio all’Ariosto di Franco Vaccai – che presenta opere successive, quali ad esempio le immagini scattate da Luigi Ghiri nel Mauriziano, e poi si concentra sugli esiti del confronto tra pittori, illustratori, autori di fumetti e fotografi, italiani e stranieri, con la figura dell’Ariosto e il testo dell’Orlando Furioso, per verificare l’influenza sull’immaginario creativo di una visione del mondo e delle umane esistenze che non può essere consegnata agli archivi del passato.
La musicalità del testo porta al massimo coinvolgimento il lettore e l’artista che ne vuole interpretare i contorni; così dice il poeta:
Far mi conviene come fa il buono
Suonator, sopra il suo strumento arguto,
che spesso muta corda e varia suono
ricercando era il grave ora l’acuto (VII,29)
La questione essenziale in fatto di trame cavalleresche è come intrecciare fili delle azioni variando i motivi su cui intonarsi, in modo da rinnovare il gusto delle trame nonostante la ripetitività degli schemi. Anche questo è ben spiegato dal nostro poeta:
Come succede il gusto il mutar esca,
così mi par che la mia istoria, quanto
or qua or là più variata sia
meno a chi l’udrà noiosa fia (XIII, 80-81)
Maria Paola Forlani