Dispiace sempre dover scrivere male di un libro appena pubblicato. Se soltanto per un attimo si pensa al lavoro ed alla fatica degli editori, degli editing, dei redattori, degli stampatori, dei distributori e dei librai che alla fine lo vendono, se si pensa a questo dispiace enormemente. E poi, in generale, si tende a salutare sempre come un evento particolarmente gradevole (anziché doloroso) l’arrivo sul mercato di un volume ben fatto e ben curato. Ma nel caso di questo Conversazioni e ricordi di Ludwig Wittgenstein (Neri Pozza, 2005 ) in tutta coscienza sentiamo di non poterci esimere dal dirne male. Sarebbe fin troppo facile, fin da subito, rilevare l’ovvia circostanza che in un libro attribuito nella copertina come opera di Ludwig Wittgenstein (Vienna 26 aprile 1889 – Cambridge 29 aprile 1951) di scritti veri e propri del filosofo del Tractatus non ve ne sia neppure uno. Invece in questo volume c’è della gente che ricorda Wittgenstein, gente che gli è stata vicino, gente che l’ha conosciuto. E tutti costoro parlano di lui con maggiore o minore cognizione di causa a seconda dei casi. Immaginerete a questo punto voi stessi che cosa ne può essere venuto fuori ! Ma - straordinario a dirsi, anche questo - nel complesso il libro è non riuscito non a causa di tale motivo. Se vogliamo concedere per un attimo che un’operazione di questo tipo abbia qualche senso (che pure ci sfugge al momento): il libro è un cattivo libro perché il protagonista di tutto questo deja-vu o auting collettivo, cioè: in questo caso il Ludwig Wittgenstein concreto e reale che è vissuto all’inizio del secolo scorso, è alla fine un Wittgenstein parziale, fratto, incongruo, un cappotto di lana da indossare a ferragosto per intenderci. Ognuno dei suoi amici o parenti parla di Wittgenstein a suo solo titolo personale e non in virtù di altro, in maniera arbitraria, impossibile a verificarsi, provocatoria.
Quello che nelle sue intenzioni avrebbe voluto essere una sorta di sacco da trovarobato della storia della filosofia alla fine si presenta, dunque, come una raccolta più o meno sfasata e triste di opinioni di singoli raccolte probabilmente in fretta in un unico volume dato a stampa. Se volete sorridere, sappiate ad esempio che se fosse realmente vissuto il Wittgenstein spacciato per vero nel volume della Neri Pozza, costui sarebbe stato non molto più che un perfetto idiota, saccente, presuntuoso ed incurante di ogni altro essere umano che fosse stato diverso da lui. Un idiota che ad un certo punto se ne spunta pure con un’idiozia senza capo ne coda come questa: «Kant e Brerkeley mi sembrano pensatori molto profondi». Provate ad iscrivervi alla facoltà di Filosofia della vostra città ed andate a sostenere un esame di Teoretica dicendo una cosa del genere. State pur certi che se il professore avrà dei mastini napoletani a disposizione (in genere nelle Facoltà di Filosofia ce ne sono sempre) ve li sguinzaglierà dietro con grande foga.
Conversazioni e ricordi è dunque un libro capzioso persino nella veste grafica (elegante verdino rigato) e nel suo prezzo (30 euro).
Ma se ci è concesso un’ inciso: il libro in questione è solo un’ indicatore di quella deriva (commercialmente giocata solo sull’immagine nel senso più deteriore del termine) che pure quegli editori che si occupano (io credo a questo punto: loro malgrado, come nel caso in questione) di filosofia hanno da qualche tempo incominciato a percorrere.
Deriva che è sintomatica di un certo qual malessere che partito dalla pubblicità e dalla televisione ha oramai raggiunto (qualcuno dirà: “finalmente”) anche quello che un tempo era il “paludato” Mondo Accademico.
Gianfranco Cordì