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Vincenzo Donvito. Contrasto economia criminale: Verso una rivoluzione culturale? 
Riflessioni su prostituzione e droghe illegali
31 Agosto 2014
 

Immaginiamo abbia fatto un certo effetto -a chi non è “addetto ai lavori”- la precisa e sempre utile indagine dell'ufficio studi della Cgia di Mestre sull'economia criminale. Utilizzando dati di dominio pubblico e ufficiali, l'organizzazione di Giuseppe Bortolussi, ha rilevato che questo tipo di economia muove qualcosa come 170 miliardi di euro all'anno nel nostro Paese, l'equivalente del Pil di una Regione come il Lazio. E, siccome stiamo parlando di numeri e cifre ufficiali, registrate e conosciute, essendo notorio che l'intercettazione dei commerci illegali non riguarda il 100% degli stessi, va da sé che le cifre in gioco sono molto più alte di quelle dell'indagine.

L'oggetto di questi mercati riguarda prodotti e servizi che sono illegali e non.

Per quelli che comunque hanno un mercato lecito, si tratta di un contesto che, pur con gli endemici margini di illegalità tipici di una economia di uno Stato democratico, per ridurre il danno il più possibile c'è “solo” bisogno di approcci e norme più liberalizzatrici: maggiori libertà di domanda e offerta, e conseguenti maggiori oscillazioni dei prezzi e disponibilità dei prodotti e servizi, colpiscono i mercanti criminali che giocano proprio sulle deficienze dei mercati controllati e/o poco liberi (come sono i nostri, nonostante in diversi vogliano farci credere il contrario).

Per quanto riguarda prodotti e servizi illegali (soprattutto droghe e prostituzione) l'approccio dovrebbe essere un po' più a monte. Mentre per i prodotti e servizi legali si tratta di modifiche normative più o meno radicali, per quelli illegali c'è da sradicare anche una cultura, quella proibizionista e, sostanzialmente, anti-legalitaria.

Continuiamo coi nostri due esempi di prostituzione e droghe illegali.

“Il sesso fuori del matrimonio e senza procreazione è peccato”. Più o meno recita così il credo religioso più diffuso che per molti dovrebbe essere una sorta di legge. Ma è anche uno dei credi più disattesi, e siccome l'ipocrisia è imperante nella cultura italiana (ipocrisia di derivazione apostolica romana, ma fortemente radicata anche in coloro che sostengono non appartenere alla Chiesa cattolica), va da sé che continuiamo a tenerci una prostituzione per strada -e non solo: con enormi costi di ordine pubblico e sanitari, lavoro nero e, soprattutto, lasciando totalmente nelle mani della criminalità la gestione e il reclutamento di questa forza lavoro, con anche mancati introiti erariali per lo Stato. Una legge che legalizzi e liberalizzi la prostituzione, sarebbe solo il punto di partenza. Tanti nemici in partenza (Chiesa romana, difensori delle donne modello svedese, Sindaci che non avrebbero più multe da fare, etc.), tutti tra coloro che sono “specialisti dell'anti-prostituzione” e che su questo ci campano (economicamente e culturalmente); ma soprattutto avremmo contro la criminalità, che sicuramente troverà altre forme di penetrazione del mercato, contro cui bisognerà organizzarsi per ulteriormente combatterle. Ma se vogliamo che l'economia criminale abbia un punto di stop di fronte al quale non si dovrà tornare indietro, una legge è fondamentale. Da lì comincerà una nuova cultura, un nuovo approccio, sempre aggiustabile e modificabile nel tempo e nelle circostanze, ma sempre con un punto fermo: vendere il proprio corpo non è un reato (come già dice oggi la nostra legislazione) e acquistare queste prestazioni (qui la novità) non è un reato e/o un illecito, nell'ambito delle leggi codificate.

Non molto dissimile è il discorso sulle droghe, tutte, anche se la partenza con la cannabis (terapeutica e non) non è disdicevole. Il mercato illegale, gestito dalla criminalità organizzata col supporto di tantissimi disperati economicamente, esiste perché c'è domanda, sempre in crescita e a ridosso delle mode generazionali (marijuana quanto piuttosto cocaina, sintetiche, eroina, etc). Domanda a cui tutti i tentativi fatti fino ad oggi da un punto di vista legale e culturale, non hanno dato risultati. Anzi. Gli alti problemi di ordine pubblico, sanità, sociali, culturali ed economici generati da un mercato totalmente illegale, si sono acuiti. Che il mercato illegale delle droghe sia un problema gigantesco soprattutto lì dove tutte le droghe sono illegali, è un fatto risaputo. Un po' meno problematico lì dove alcune sostanze sono state legalizzate. Il problema è certamente a livello mondiale, con trattati internazionali che fanno del proibizionismo l'asse portante di tutte le lotte antinarcotici. Ma se lo smantellamento di questi trattati non è ancora all'ordine del giorno degli organismi internazionali preposti (le modifiche delle legislazioni statali e federali degli Usa sono l'evidente inizio di una rivoluzione culturale ed economica alle porte), cosa deve fare un singolo Stato per non essere sommerso da questa economia criminale nazionale e dalle conseguenze di questa economia (immigrazione e instabilità politica) su Stati produttori e ponte (e non solo) nei Paesi più disagiati in Africa, America centro e sud, Medio Oriente e Asia? Stare fermi in attesa? E come dire che ci facciamo male e godiamo nel continuare a farci male. In attesa di un Pianeta più attento alla realtà e consapevole dei propri errori, possiamo darci da fare per ridurre i nostri danni e, nel contempo, dare il nostro contributo per quelle modifiche dei trattati internazionali che occorrono. Parliamo di narcosale per impedire che i malati di tossicodipendenza abbiano più gravi conseguenze sanitarie per lo scambio di siringhe e continuino a creare problemi di ordine pubblico nei luoghi pubblici in cui cercano di lenire la loro malattia. Parliamo di controlli sulle sostanze ingerite in modo superficiale da milioni di giovani, soprattutto nei loro grandi raduni. Parliamo di reale accesso (e non difficilissimo, com'è oggi) alla cannabis terapeutica, in modo che chi soffre di patologie dolorose non sia costretto a diventare dipendente dagli oppiacei. Parliamo -ripetiamo: solo per cominciare- di legalizzazione di consumo, produzione e autoproduzione di cannabis, sì da separare i mercati delle droghe pesanti (che quasi sempre danno dipendenza) da quelle cosiddette leggere. In pratica l'inizio di una rivoluzione culturale che si basi sul “conoscere per giudicare e scegliere”, a fronte dell'odierno “afferra a volo il mito e consuma, non importa cosa”.

Avremo così sconfitto l'economia criminale e fatto calare gli ufficiali 170 miliardi di euro all'anno che la Cgia di Mestre ci ha documentato? Sì, in piccola parte. Anche perché a questi ufficiali 170 miliardi si arriva anche con l'immigrazione clandestina, transazioni illecite di ogni tipo come ad esempio contrabbando, traffico di armi, smaltimento illegale di rifiuti, gioco d'azzardo, ricettazione, contraffazione, etc. Abbiamo parlato di prostituzione e droga perché ce ne occupiamo da tempo, documentando e informando, e quindi abbiamo più cognizione di cause ed effetti. Ma col metodo non-proibizionista, liberalizzatorio e procacciatore di legalità (nonché di non secondari introiti erariali) che abbiamo indicato, abbiamo la speranza di poter fornire indicazioni per diversi ambiti.

E come tutte le rivoluzioni culturali, ci saranno sostenitori e detrattori. Questi ultimi, in particolare, non contenti degli insuccessi e delle tragedie che fino ad oggi hanno provocato (per alcuni anche in buona fede), continueranno ad essere incitati dalle loro ideologie che vedono l'essere umano -sempre e comunque- non un individuo in grado di scegliere se ben informato e consapevole, ma una pecorella smarrita a cui bisogna sempre indicare -e imporre- quello che per loro è giusto; e questo vale sia per coloro che lo fanno nel nome di un credo religioso che per coloro che lo fanno in virtù di un potere statale. Sarà compito dei sostenitori di questa rivoluzione convincere i detrattori della giustezza di questi metodi legalizzatori, anche per loro e senza far loro alcuna violenza culturale (quella fisica è ovviamente fuori discussione).

 

Vincenzo Donvito, presidente Aduc


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