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Maria Lanciotti. Bignamino di una cronaca non ancora storicizzata – 2
31 Agosto 2014
 

Nessuna pretesa di indagare la storia del nostro recente passato. Troppo complessa e aggrovigliata, piena ancora di nodi e lacerazioni. Solo l’esigenza di ripercorrere cronologicamente quei passi che più sono rimasti impressi nella memoria soggettiva di chi scrive, troppo presa all’epoca da lavoro e famiglia e da pesantissimi conflitti interiori che i moti di quegli anni resero esplosivi. Un ripasso minimo, doloroso e salutare, con il solo intento di mettere a fuoco le troppe lacune e i troppi inevasi interrogativi che tante coscienze ancora tormentano.

 

 

 

Anni brucianti

Si aprì il nuovo decennio con la proposta di legge “Fortuna-Baslini” sul divorzio – concesso solo per cause gravissime – mettendo tutti contro tutti. Proposta che fu approvata il primo dicembre 1970. Entra in aperta crisi l’istituzione della famiglia così come concepita dallo Stato e dalla Chiesa, e si passa a considerare l’unione di fatto come possibile alternativa al matrimonio tradizionale.

Anatema! Ma ormai il sasso era stato lanciato, senza ritorno. Si scoprì che troppi matrimoni si reggevano a forza di rattoppi, che la sopportazione delle donne non era più quella di una volta, e che l’uomo restava tenacemente aggrappato alle sue vecchie prerogative, anche se tentava di prendere le distanze da un modello che razionalmente respingeva.

Aperto uno spiraglio, si spalancò un universo tutto da esplorare.

E le donne ancora una volta furono le prime ad aprirsi un varco verso una sofferta conquista di sé, dovendo lottare con le loro stesse resistenze e con i fantasmi di un sistema arcaico ancora ben radicato.

Ma il cerchio era stato spezzato, e non si poteva più saldare secondo l’antico disegno.

Tremate le streghe son tornate” e altri slogan scanditi in tutte le manifestazioni di protesta e ampliati dai mass media, riaccendono memorie di roghi e confessioni strappate, di persecuzioni legittimate, di violenze e soprusi impuniti.

Fu come abbattere una finestra murata e non ci fu più modo di richiuderla, e ciò che ne filtrava circolava nell’aria con un sentore di mimose e di lacrime vecchie e nuove, versate e da versare.

Ancora vigente il delitto d’onore, che con l’articolo 587 del codice penale concedeva tutte le attenuanti – e anche tutta la simpatia e solidarietà della “buona società” – a chi pensava di lavare col sangue l’oltraggio, reale o sospettato o inventato che fosse.

Il referendum sul divorzio, il 12/13 maggio 1974, con il deciso no degli italiani all’abrogazione della legge 898, segnò un primo gigantesco passo, cui altri ne seguirono di conseguenza.

 

 

Nuove questioni

Con la riforma del diritto di famiglia del 1975, furono istituiti consultori familiari che, dopo una partenza incerta, prendono concretezza e slancio, e con l’approvazione della legge che regola l’aborto, nel 1978, diventano punto di riferimento per tutte quelle donne che intendono affrontare consapevolmente problematiche mai prima trattate, come la sessualità e la procreazione.

Mai più nessuna legge-compromesso sulla nostra pelle”, lo slogan che le femministe portavano in piazza, come un manifesto programmatico senza altre dilazioni.

Il consultorio, che si reggeva principalmente sul volontariato, forniva informazioni sulle norme per la tutela sociale della maternità, sulla prevenzione e interruzione volontaria di gravidanza; si occupava di problemi di coppia, di disagio familiare e socio-ambientale, di abuso e maltrattamento dei minori, di violenza sessuale, di matrimoni misti e famiglie allargate, di adozioni nazionali e internazionali.

Tutte questioni nuove, che trovarono resistenze accanite, ma anche fermi sostenitori. Nei consultori operavano tante professioniste che conoscevano da vicino i drammi delle donne e se ne facevano carico.

Ma quello che poteva sembrare un momento di crescita per una società aperta a nuove prospettive, si rivelò un passaggio arduo grandemente insidioso.

 

 

Sulla scia di Franca Viola

Diventano più che mai difficili i rapporti familiari e di coppia, basati fino ad allora su una chiara gerarchia al cui vertice si poneva il Pater familias.

La violenza domestica, in particolare sulle donne, non era riconosciuta nemmeno dalle vittime; tanto radicata era tale pratica che non contemplava ritorsioni.

Ma qualcosa aveva cominciato a scalfire il muro della rassegnazione e dell’omertà già nel ’65, quando esplose il caso di Franca Viola, rapita e violentata da un corteggiatore respinto, imparentato con una potente famiglia mafiosa. Una volta liberata, la diciottenne siciliana non solo rifiutò il matrimonio riparatore, che avrebbe cancellato con un colpo di spugna il reato di violenza sessuale, ma col sostegno della sua famiglia rese possibile l’arresto del rapitore, che fu condannato per sequestro di persona.

Un caso che fece scoppiare il finimondo, tra l’indignazione di chi considerava lecite certe “regole” e lo scompiglio in cui fu gettata la morale del tempo, già sgranata da una serie di strappi.

Sulla scia di Franca Viola tante ragazze “disonorate” iniziarono a rifiutare il matrimonio riparatore, gettando nella disperazione paesi interi e pagando un alto prezzo per la loro ribellione, ma erano tutti semi non dispersi al vento.

Le cose si muovono ormai rapidamente.

Nel 1979 si assiste per la prima volta in tv a un processo per stupro a porte aperte. Entrato in tutte le case, respinto dai più come cosa oscena, segnale d’allarme per i franchi stupratori, il processo che si svolge sotto i riflettori comincia a lavorare a favore della donna, che non si sente più sola e impotente quando trova il coraggio di denunciare soprusi fino ad allora tacitamente subìti. Più difficile è denunciare marito, padri e congiunti, che tra le mura domestiche si sentono protetti dalla stessa famiglia, ossessionata dal decoro della bella facciata.

Ogni tanto qualcosa accade che va a scombinare equilibri non più statici, e le ripercussioni si vanno a leggere sulla cronaca nera, ma certi fatti di sangue sono solo l’apice di un fenomeno esteso e profondo che si consuma ancora nel silenzio, seppure non più complice.

Nel 1981 fu abolito l’infame articolo 544 del codice penale, che ammetteva il matrimonio riparatore anche nel caso dello stupro di una minorenne. Ma fino al 1996 rimase in vigore la sezione del “Codice Rocco”, che considerava la violenza sessuale reato contro la morale e non contro la persona.

 

 

Pagherete tutto, pagherete caro!”

Difficili da mettere a fuoco quegli anni settanta, scorsi come una pellicola dalla trama complicata e a tratti spezzata, che sfuma sotto l’accavallarsi di lutti e disastri in convulsa sovrapposizione.

Il terremoto in Friuli il 6 maggio 1976, con quasi mille morti e tanta distruzione, fu una scossa tremenda per il nord dell’Italia, uno sfacelo che richiese dieci anni di ricostruzione.

Da lì a poco, il 10 luglio, una nube di diossina si abbatté su Seveso, in Brianza, per un incidente avvenuto in una fabbrica. Una catastrofe industriale che intossicò la popolazione locale, uccise migliaia di animali, inquinò aria e terreni e fece aprire gli occhi sul rischio della contaminazione chimica, sempre più reale e incombente.

Imperversa la lotta armata, con modalità che vanno dal sequestro di persona alla gambizzazione all’omicidio, con una corona di rapine, ferimenti e bastonature, mentre si susseguono attentati terroristici che fanno strage di incolpevoli.

Ivan Della Mea, tra i fondatori del Nuovo Canzoniere Italiano, autore dei più celebri canti politici di quel periodo, proclamava: “Pagherete tutto, pagherete caro!” e il suo grido veniva raccolto e rilanciato da tanti giovani, a pugno chiuso.

 

(prosegue)

 

 

Bignamino di una cronaca non ancora storicizzata – 2

(Tratto da Se tu mi chiedessi – storia e storie fra cronaca e memoria, UniversItalia 2013)


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