Gesù e la macchina da presa
di Franco Patruno
Ogni regesto sui film dedicati a Gesù di Nazareth rischia sempre di destare stupore. Nel secolo che alcuni profilavano come quello del “silenzio di Dio” o che, ancora più radicalmente, altri ritenevano che lo stesso Dio fosse “morto”, la figura del Figlio è stata esposta ben oltre 370 volte.
Il recente Gesù e la macchina da presa. Dizionario ragionato del cinema cristologico (di D. E. Viganò, Lateran University Press), è indubbiamente il più completo e, come afferma il sottotitolo, “ragionato”, cioè distribuito cronologicamente, ma facilmente raggiungibile anche tramite aree tematiche.
Si sa che una delle difficoltà di tali studi è costituita dalla scelta tra “esplicito” e “implicito”, intendendo per la prima la categoria dei film sulla vita di Gesù e per la seconda le allusioni metaforiche o simboliche al Cristo senza l’effettiva sua fisica presenza. Estreme esemplificazioni: Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli e Au hasard Balthazar di Robert Bresson, nel quale Gesù è sotteso nell’immagine superba e lancinante di un somarino che, alla fine, muore sulla cima di una collina mentre attorno a lui si radunano le pecore.
Viganò non ha compiuto una scelta estetica, ma ha cercato nel mercato internazionale e nelle cineteche tutto quanto è stato girato con Gesù come protagonista o come “sfondo” tematico e aspirazione a mutamenti esistenziali. Strumento estremamente utile per diverse motivazioni: la prima è la raggiungibilità di titoli che spesso si danno per dispersi o distrutti. La seconda, invece, per la funzionalità di veri e propri corsi di cinema a soggetto cristologico. A tutti gli effetti è anche un manuale per chi studia cinema e può essere inserito come testo nelle lauree brevi di corsi mass-mediali. È chiaro che ogni associazione culturale che preveda il cinema d’essai può trovare in questa documentazione, anche ben curata graficamente, ampia possibilità di organizzare cicli tematici o cronologici sull’argomento. Se pure l’attività catechistica, finalmente sottratta alle banalizzazioni di canti da new age e da festival di San Remo, s’inoltrasse in questa ricerca, gran beneficio ne trarrebbe la ricerca e la crescita del gusto. I due studi introduttivi, di Viganò, dopo aver giustamente aperto lo sguardo nelle diversificazioni intenzionali dei film su Gesù e la difficoltà di dividerli in generi (si pensi all’episodio “la ricotta” di Pasolini, ormai ritenuto da tutti gli studiosi di antropologia del sacro un vero capolavoro), si sofferma poi su alcune opere indicative per le polemiche che hanno suscitato. Mi riferisco al Vangelo secondo Matteo di Pasolini (considerato, giustamente, un classico), il Messia di Rossellini (ancora in gran parte da indagare e da scoprire), il già citato Gesù di Nazareth di Zeffirelli, opera più didatticamente distesa e di immediata piacevolezza, e, ultimamente La Passione di Cristo di Mel Gibson, film esaltato ancor prima della sua uscita sugli schermi e pubblicizzato in modo tale da creare difficoltà a chi lo riteneva un film sbagliato. È da apprezzare il coraggio di Viganò che, con delicata prudenza, finalmente affronta l’errore teologico che sta alla base del film di Gibson: «La violenza fortemente esibita e iperbolicamente reiterata sembra suggerire che, data la durezza non sostenibile della crudeltà, la Risurrezione appaia l’elemento di maggiore efficacia salvifica. Dobbiamo invece ricordare che la dimensione salvifica della morte di Gesù non si fonda sulla quantità del dolore subito».
Anche La Civiltà Cattolica in due interventi successivi ha sostenuto questa tesi, amplificando le esasperazioni da film horror. Concordo con entrambi.
Interessanti i riferimenti alla pittura che, se sicuramente hanno significato per pellicole a carattere artistico, diventano una fiera del cattivo gusto per tutta una serie di polpettoni biblici proposti negli ultimi anni dal primo canale della Rai, culminanti in una diseducativa Apocalisse che è di vero ostacolo alla comprensione del testo biblico. Credo che nei confronti di questa produzione occorrerebbe maggiore severità critica da parte degli operatori cattolici: con l’oleografia non si educa pienamente, anzi, si incide su tutto lo spettro dell’errata percezione.
Proprio opere come questa di Viganò potrebbero aiutare a diffondere le pellicole di qualità, spingendo la distribuzione e l’enorme bacino della TV in bianco e satellitare a non incorrere nella banalità e nell’effettaccio di “un sacro per tutte le stagioni”.