Firenze – Si apprende da agenzie di stampa che sarebbe stato raggiunto un accordo per modificare l'art. 71 della Costituzione in materia di proposte di legge di iniziativa popolare: il numero di firme di elettori da raccogliere passerebbe da 50 a 250mila.
A una tale significativa restrizione di questo strumento di democrazia diretta non corrisponderebbe invece un obbligo per il Parlamento di calendarizzazione entro tempi certi la discussione ed il voto.
Senza indicare in Costituzione tempi certi per la discussione di queste proposte di legge, che fino ad oggi il Parlamento ha interpretato come un via libera a ignorarle del tutto, è evidente che l'art. 71 diverrà ancora più inefficace e inutile di come lo è oggi.
I pochi istituti di democrazia diretta contemplati dalla Costituzione non devono essere ulteriormente indeboliti. Anzi, a fronte di un Senato non eletto direttamente dai cittadini, è indispensabile rafforzarli.
Per quanto riguarda le pdl di iniziativa popolare, è indispensabile un termine perentorio in Costituzione entro cui il Parlamento deve discuterle e votarle.
Per quanto riguarda il referendum popolare (art. 75 Cost.), per renderlo uno strumento effettivo al pari di altre democrazie (vedi Stati Uniti e Svizzera):
- eliminazione del quorum di partecipazione alla votazione;
- introduzione del referendum propositivo;
- vaglio di ammissibilità della Corte Costituzionale dopo la raccolta di 1/10 delle firme necessarie.
Con il potenziamento di questi strumenti di democrazia diretta, verrebbero forse meno anche le obiezioni di chi vede nella non eleggibilità del nuovo Senato ora in discussione un tentativo di ridurre gli spazi di democrazia.
Pietro Yates Moretti, vicepresidente nazionale Aduc