![(foto P. Garofalo) (foto P. Garofalo)](ardocCM/fput.php/9ad0daacecc91039cf27cc4aa33fda25a3b51e7d5825652a67ee677a082dba72331d261a553be90a560765ecabb8f14029734466485e3940bcf4bc0bb2c6871f615470b2530c0c69e1a85124499c3be2dac7f8e81cb70f2118c96cfcbd1b05bbd3918d161154a65b5a79bae24b5948e8/Anghiari201404.jpg) | (foto P. Garofalo) |
26 Giugno 2014
Ci devitalizzano il giorno
e il lavoro è un ascesso
sanguinolento:
burocratico plasma, stelle spente.
Padroni, direttori e sbirri hanno ripulito
il tombone da ogni presenza di gatto randagio
e il miagolio disperato è divenuto pioggia colorata.
Camminiamo in una notte che non si vuole
fra folle di morti viventi
in un carcere che è brusio e pianto di bambini senza volto,
si distribuiscono bigliettini d'infelicità permanente
e collezioni d'ipocrisia in forma di figurine
e vociferano diavoli canuti, incravattati di tagliole elettroniche,
senza sapere che la falce pareggia ogni erba.
O gloria, perché il tuo destino è così stropicciato nelle tasche della paura,
dell'indesiderio?
Nella macina del sogno cadono gli amori,
nella macchina genealogica si consumano i figli
e il pensiero altro non è che azzardata cautela.
Così, nel convegno della frustrazione, trasciniamo
i miseri residui del nostro esistere
mentre echeggia nei polari saloni di vetro
la nera risata del Potere
(verbo sempre servile).
Alberto Figliolia |