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In libreria/ Federica Bonzi. Portugal 
Un invito alla lettura (Veleggiando ad Itaca)
31 Maggio 2014
 

Così Parmenide: «Per la parola e il pensiero bisogna che l'essere sia: solo esso, infatti, è possibile che sia». Non dovrebbe stupire al lettore attento tale citazione dal Perì Phýseos del grande pensatore di Elea ripreso con acume dall'analitica ontico-esistenziale in quanto si evidenzia nel frammento citato l'esplicito rapporto “essere-pensiero-linguaggio”; solo l'essere è in quanto concepibile. Da qui non solo una nuova estetica come non reificazione ma una radicale visione della vita e delle sue possibilità che Federica Bonzi dalla dedica alle ultime poesie rivendica, la categoria del possibile, dell'autentico. C'è, infatti, l'essere è una nullificazione di intendere le cose, gli oggetti, l'uomo e la natura come entificazione, come strumenti. Il linguaggio quindi diventa linguaggio dell'essere, non è pura convenzione, non è artificio ma è una interpretazione del mondo: l'universo culturale in cui viviamo non è che un kosmos linguistico che dà la scala dei valori e delle priorità: essere, in breve. Da qui l'esigenza del dire contro il parlare (l'eloquenza del silenzio e il significato del “non detto”, il valore del “dire” contro il disvalore del parlare). Si può parlare a dismisura, di ogni argomento, dal più banale al più serio, e non dire nulla. Allora il senso del Verbo diventa flatus vocis: suono o a volte, rumore, sgradevole. Il dire è colpire il bersaglio, è un arco teso che prende la mira. Per nulla, in greco esiste la paronomasia tra bìos e biòs: sposta l'accento e diventa vita e arco. Così Eraclito, fr. 48, «Il nome dell'arco è la vita, la sua opera la sua fine». La lingua lega in una sola sostanza verbale ciò che è vita e ciò che è morte. Federica Bonzi riesce quindi in tal poesia a usare la semantica proprio per esprimere il suo sentire. Infatti non è messo a caso il titolo Incipit. Cogliere in questo baillame di suoni la forza della parola quando è tale e l'abilità della Poetessa con il suo rigore semantico-linguistico!

Portugal è la seconda fatica poetica di Federica: da neofita si è aperta un sentiero tutto suo e ne sentiremo ancora parlare in modo sempre più fruttuoso. Portugal assume la dimensione dell'inesplorato, del non detto ancora, del non banale, del pathos della scoperta, del saperci stupire ancora in un mondo volgare. Ma è anche /Portugal/ il nome di un'arancia, delle sue sfumature di colore, di timbri cromatici, che sono metafora degli eventi del suo pentagamma interiore, del sentire “dentro”, di espressione. In una tela incolore la nostra getta macchie che sono dolore, amore, sofferenza e gioia: dipinge con pennellate sapienti e spontanee ciò che vive, esperisce nel suo profondo intus.

È tale decantazione del sentire ma è soprattutto, prima di attimi struggenti, un lavorio intenso, un cesellare la parola, ogni verbo, ogni termine, ogni soggettivazione: è un penetrarsi, un farsi male pieno di pathos e di consapevolezza. Esprimersi poeticamente è questo e non gettare a casaccio lì su un foglio vergine dei versi senza il noto labor limae il quale è travaglio in senso stretto del termine. Il suo mondo lirico in tali 55 poesie? Pennellate che nascono da momenti, da arcani disegni d'essere sé: danze ritmate di termini, costellazioni di parole, ansia, sgomento e gioia ma sopra tutto pathos.

Così lo scorrere della vita viene sondato nella sua essenza esistenziale dove il pensiero corre a ciò che fu e mai sarà come prima (Una Sera, commovente, foscoliana che mi resterà impressa e faccio così notare che i classici ci parlano sempre, sono inesauribili per chi li sa ascoltare e Federica Bonzi declina il suo spirito con quello foscoliano, sebbene con mutata sensibilità: ciò basterebbe per dire della sua poetica).

Scambiando l'Essere per l'ente, abbiamo supplito al nostro senso di vuoto con l'esasperato tecnicismo, abbiamo soffocato pulsioni vere ed autentiche. Siamo caduti in quel senso di non-essere, di smarrimento, di nausea. Soffocati dalla sfacciataggine, dall'utilitarismo più bieco, dal banale, ci siamo dimenticati di Noi, della Luce dell'Essere (che non è dio) che illumina i nostri sentieri, obliando il nostro Sé che ha ben altre esigenze di quelle che ci vengono propinate dall'odierno sconsolato panorama sociale. Noi siamo, abbiamo ancora, volendo, una carta vincente, la possibilità che in “Incipit”, che chiude (ma non è bizzarria) tale affresco poetico, si traduce in una vita nuova, e solo toccando e afferrando l'essere, potremo vivere. Donde l'invito sì a veleggiare per Itaca ma tale intesa come un approdo, non una meta se vogliamo dire: siamo. È un appello al cielo lancinante, una sfida al Tempo perché l'arte in quanto tale è atemporale. Si colloca in quell'azzurrità che vediamo all'orizzonte, tra l'amplesso tra cielo e mare. Più ci avviciniamo, più tale si allontana. La ricerca mai è finita, è in fieri: ma tale viaggio vale in quanto chi lo intraprende sa di esser sempre presente a sé.

Per aspera ad aspra, qua non è motto che la retorica ha fatto suo, è verità nel senso etimologico, dis-velamento, in tal caso di sé medesimi che, è, in nuce, ciò che conta, vale vivere per viver-ci senza infingimenti ma con intensità. Esagerata.

 

Enrico Marco Cipollini

 

 

Federica Bonzi, Portugal

Sacco Editore, Roma 2014, € 12,98


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