Merita di essere segnalato il fascicolo speciale che LiMes, la rivista di Lucio Caracciolo, dedica a “Israele contro Iran”. I temi: “Gli scenari del dopo-Libano”, le “disavventure del Mossad”; e infine: “Aspettando la bomba”.
Senza dubbio interessanti gli interventi che analizzano quella che viene definita “Le lezioni del Libano”. Ci si interroga sulla Waterloo del servizio segreto israeliano; la non brillante prova di Tsahal, l’esercito israeliano; su quello che era, è e presumibilmente sarà il Libano; le influenze iraniane, su Nasrallah ed è particolarmente interessante l’articolo di Barry Rubin su “il suicidio arabo”.
È però la seconda parte del dossier, che maggiormente richiama (dovrebbe richiamare) attenzione. Si intitola, significativamente: “Obiettivo Iran”. Soli Shahvar, un espeto dell’Ezri Center for Iranian and Fgul Studies dell’università di Haifa scrive di come lo scontro con l’Iran sia ora più probabile: «La seconda guerra del Libano ha messo in moto un meccanismo di azioni e reazioni fra i due grandi rivali mediorientali che potrebbe culminare in una catastrofe; e si analizza la strategia di Gerusalemme e di Teheran, e il nuovo ruolo giocato da Hezbollah».
Dan Schueftan, vice-direttore del Centro per gli Studi sulla Sicurezza nazionale dell’università di Haifa, dice senza troppi giri di parole che «il regime iraniano è un pericolo per tutti». Menashe Amir, esperto israeliano di Iran e commentatore della Radio Israeliana, denuncia che il presidente iraniano Ahmadinejad vuole dominare il mondo. E così via.
LiMes non è una rivista neo-cons, e non è certo sospettabile di simpatie belliciste, interventiste, non sostiene George W. Bush. E dunque non può essere accusata di aver “forzato” toni e posizioni. Semplicemente – ed è qui, in questo “semplicemente” che sta tutto il motivo di inquietudine – riflette umori e ragionamenti che, piacciano o meno, sono diffusi in Israele e nel Medio Oriente.
Già un mese fa, su Notizie Radicali avevamo dato conto di come in molti think tank americani, sia conservatori che progressisti, si dava come ineluttabile un intervento militare contro l’Iran e i suoi propositi nucleari. Ora dalle pagine di LiMes altri inquietanti “segni” in questa direzione: la domanda, insomma, non sembra essere “se”, piuttosto “quando”.
Insomma – e si viene alla carne della questione – tante “spie” segnalano come si stia prendendo in serissima considerazione l’ipotesi di fare, nei confronti degli impianti nucleari iraniani quel che fece Israele nei confronti dell’Irak di Saddam, quando bombardò e distrusse gli impianti di Osirak (e il Mossad eliminò anche qualche scienziato che collaborava con gli iracheni). Allora andò bene. Questa volta è probabile, quasi certo, che l’operazione non sarà così indolore.
Dunque? Come uscirne? Marco Pannella settimane fa ha lanciato un allarme accorato e circostanziato, e poi lanciato l’idea di un grande Satyagraha mondiale per la pace; con l’obiettivo di recuperare al suo senso più vero questa parola, e costruire – letteralmente – un’alternativa praticabile e concreta al disastro annunciato e che per molti sembra essere ineluttabile. Pannella fu lasciato solo, e i radicali con lui, quando alla vigilia dell’intervento in Irak, lanciò la proposta di “Irak libero”, per l’esilio del dittatore di Baghdad e un mandato transitorio sotto la guida dell’ONU, per recuperare l’Irak alla democrazia. Non fu ascoltato, e in buona misura fummo sconfitti. E quello che accade è sotto gli occhi di tutti.
Oggi la posta è infinitamente maggiore; i rischi molto più concreti. Ancor più necessario, urgente, cercare di dare corpo e sostanza al progetto che Pannella indica e descrive. Se non ora, quando? Se non così, come?
Gualtiero Vecellio
(da Notizie radicali, 13 ottobre 2006)