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Vetrina/ Maria Lanciotti. Ecclèsia
Pedro Berruguete,
Pedro Berruguete, 'Salomone' 
07 Marzo 2014
 

Ecclèsia1

 

 

I

 

Il muro a secco fra gli ulivi, la casa di sassi sulla collina, il bosco di querce.

 

Egli nacque qui, in una fredda notte piena di stelle e di ammonizioni;

era nudo e senza denti e con le unghie tenere e la voce flebile, ma infine urlò. Nascere fu la sua prima fatica.

 

Abbandonato lo stato felice tra le acque rosa, egli conosce l’affanno di esule in altre sponde approdato, alla ricerca oscura del frutto cui aggrapparsi;

 

non sa il suo tempo breve, e la vanità di ciò che lo attende;

 

come il sole si leva e tramonta, egli percorre il suo giorno;

 

come il vento sale e discende, egli segue il suo moto;

 

come sorgiva contesa dal mare e dal cielo, egli segue il suo ciclo.

 

Dura la legge del Creato e meravigliosa: nulla mai si riposa, nulla mai concede riposo;

 

percezioni attinte all’esistenza, incessantemente la mente elabora e trasmuta;

 

il sogno solca le notti, illuminando sedimentazioni e squarci;

 

brulica la mente di universi spenti e nascenti;

isola di solitudine e tremori, l’essere tesse danze e voli di morte;

 

e mai nessun grido lacera le trame inflessibili.

 

Solo le pietre conservano i segni del passaggio dell’uomo, le pietre e le ossa;

 

tiare e corone il tempo corrode, parole disincarnate incensano tabernacoli.

 

Il cuore non si appaga di retaggi; erede di territori immensi e inesplorati, fiuta rabdomantici segnali;

 

il cuore sa e non mente e non s’inganna: la sua vista è acuta e sterminata.

 

 

II

 

Tenta l’uomo la via della gioia e del facile riso, allettato dal suono dei campanelli e dalla mammella dell’orsa;

 

ma la ragione lucrosa frena il suo moto sventato, lo esorta a vagliare passi fatti e da farsi.

 

L’uomo conta tutti i suoi beni acquisiti con sacrificio e ardimento;

 

esalta la sua abilità nel renderli massimamente fruttiferi;

 

loda la sua grande famiglia e i suoi prosperi allevamenti;

 

vanta ricchezze in preziosi e opere d’arte, e vergini e coristi celestiali.

 

Dice: tutto ho creato dal nulla

con sapienza, lungimiranza e accortezza.

 

Riflette: ma stimati i miei beni, e la fatica e il tempo che mi sono costati, non me ne viene allegrezza; cos’è allora che conta sotto la volta del cielo?

 

Si domanda: la cupidigia sempre accompagna gli uomini, indistintamente?

 

E cosa fanno tutti, se non replicare sempre se stessi?

 

A che pro vivere da saggi, se ad essi è riservata la medesima sorte degli stolti?

 

Tutti saranno dimenticati dopo morti, e di ogni sforzo o inanità non resterà che cenere.

 

Ed egli ripudia la vita tormentosa e vana, e ingiusta;

 

il suo affannarsi in opere che passeranno ad altri, senza sapere cosa ne faranno.

 

Egli si dice allora di non attaccarsi troppo ai risultati di gravosi sforzi e elucubrazioni;

 

ché tutto quanto costruito con fatica,

e sofferenza d’animo, egli dovrà lasciare a chi non mosse dito né intelletto, e mai parlò col cuore;

 

che cosa resta dunque ad un uomo di tutta la sua passione e laboriosità nel perseguire un progetto che gli sopravviva?

 

consumando la sua esistenza fra preoccupazione e rischi, senza poter trovare ristoro neppure di notte, con la mente sempre in stato di veglia?

 

Non sarebbe meglio per l’uomo soddisfare aspirazioni e bisogni secondo le sue inclinazioni, senza altri obiettivi?

 

non sarebbe ciò opportuno e sensato, rispettoso dell’imperfetta indole umana?

 

ma se io non facessi – egli ragiona – come potrei assecondare aspirazioni e bisogni?

 

Ecco allora che saggezza, conoscenza e animo lieto fanno il corredo dell’uomo, grato al suo destino;

 

e destino di esseri tormentati e infelici, senza pace né gloria, è ricercare e accumulare beni,

 

di cui l’uomo della conoscenza farà buon uso e discernimento, lodando le prerogative degli eletti.

 

E da tutto ciò – egli considera – non mi deriva serenità di spirito, ma

pena e fastidio; dove cercare ancora il rimedio al mio cruccio?

 

 

III

 

L’uomo vive le sue stagioni senza farne tesoro; senza adeguato apprezzamento per la calda estate

 

che matura frutti e grano, per il freddo dell’inverno che dà riposo alla terra, per l’autunno che spoglia e

 

mette a giacere le piante, per il tepore della primavera che fa schiudere le gemme.

 

L’uomo vive il suo tempo senza trarne insegnamento: nasce cresce invecchia e muore senza

 

aver compiuto l’arco e senza farsi freccia; disconoscendo al tempo il suo valore e il suo significato.

 

L’uomo che osserva la natura e le cose, che ascolta le pulsazioni del cosmo, che coglie

 

l’accordo dell’insieme fino a penetrare nell’armonia universale,

acquista la sua porzione di tempo

 

e la nozione di come spenderlo senza sperperarlo e vanificarlo,

godendo del brutto tempo e del bello,

 

ché non v’è tempo brutto o bello,

ma Tempo.

Tempo di piangere e gioire,

 

d’imparare e disimparare,

d’amare e d’odiare,

di ferire e medicare,

 

di nascere e morire;

per tornare puro di cuore, e consapevole, al proprio inizio.

 

Maria Lanciotti

 

 

1 Dalla lettura de Il libro dell’Ecclesiaste


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