Sembra avviarsi –dopo il ciclone sulla Sardegna, dal soave nome di Cleopatra– come di solito il triste e noioso rito dei buoni sentimenti dopo le sciagure. Senza che niente si veda all’orizzonte che suggerisca un qualche atteggiamento anche solo mentale diverso. Eppure non mancano né argomenti né proposte.
Certo la cosa più sorprendente è che Letta e Hollande si incontrano come niente fosse, per ribadire la volontà di finire il Tav in val di Susa, e non vi sono segni che si voglia fare qualcosa per fermare il Muos a Niscemi. Intanto il Tav che era indicato come una priorità europea, per unire il territorio da Lisbona a Kiev, si è già ridotto ad essere solo da Torino a Lione e nessuno ci ha mai detto perché. Inoltre nel frattempo, dopo gli incidenti della Thyssen/Krupp e i disastri dell’amianto a Caale Monferrato, per opera del giudice Guariniello i padroni sono stati imputati e condannati per omicidio. Sicché il Gotha dell’industria deve pagare in proprio e non può scaricare i costi sulle assicurazioni, che paghiamo sempre noi. Lo stesso criterio arricchito di questi importanti precedenti giurisprudenziali doveva essere invocato per l’Ilva di Taranto: ma il governo Monti ha scelto la trattativa con i Riva e si è visto come è andata a finire. Adesso con la Sardegna mi pare che ci si occupi di particolari pietosi e non si affronta la questione decisiva.
Il fatto è che l’industria inquina e produce merci che non rispondono alle urgenze mondiali: la fame, la sete, la desertificazione, i mari avvelenati ecc. ecc.
L’intervento pubblico è indispensabile e già tardivo: e pensare che se ne era già accorto Robert Kennedy, nel suo famoso discorso sul Pil, pronunciato poco prima di essere assassinato. Opporsi comporta una lotta decisa forte intelligente, ma lasciar fare è un suicidio collettivo tremendo.
Anche qui da noi, come si pensa di ridurre la invece crescente disoccupazione senza mutare le scelte fondamentali? La priorità è la difesa e il recupero dello scarso territorio coltivabile finora sottratto alla colata di cemento. Gli interessi da fronteggiare sono forti e spregiudicati, non esitano di fronte ai reati, anche i più gravi.
Bisogna che i cittadini e le cittadine lo sappiano: forse si può ancora fermare la deriva e tornare a prendere il proprio destino nelle proprie mani. Ma bisogna pensare in grande e non aver paura di definire le cose col loro nome, che è anche il primo gesto rivoluzionario.
La infinita “crisi” non è una calamità naturale, è l’inizio della crisi strutturale globale e finale dell’assetto capitalistico, un mutamento di quelli enormi, da affrontare con tutto il meglio di pensiero azione generosità freddezza e passione che siamo capaci di mettere insieme donne uomini giovani vecchi vecchie di questa stanca terra.
Lidia Menapace