Non sono nella vostra terra in fiamme
ma dimoro nelle calze a rete
delle botte di mio marito
grido inumani silenzi
ai più sordi muri,
crepati in altre battaglie
passate anche loro alla storia
e anche presto dimenticate
nel ripasso.
Come secca presto il sangue senza più puzzare
Una poesia shockante, per una realtà ancor più shockante e del tutto incomprensibile: la violenza sulle donne, piaga della contemporaneità, un atavico problema invero. Non si può dire che a Barbarah Guglielmana, della nobile schiatta dei medici che esercitano l’ars poetica o dei poeti consacrati anche al giuramento di Ippocrate, manchi il coraggio di denunciare coi suoi versi belli, perfetti e strazianti questa tristissima situazione esistenziale, questa tragica realtà sociale.
La poetessa chiavennasca, che esercita la sua professione di medico in un Pronto Soccorso della città di Pavia, ha composto un quaderno (non suoni affatto limitativo tale termine: anzi, ciò che risalta è la sua preziosità formale e contenutistica) di poesie intitolato Appena alzata mi sono messa a tagliare le stelle come voi tutte, stampato dalla C.S.A.M. Onlus, il cui ricavato viene interamente devoluto all’Associazione di Volontariato Donne Contro la Violenza di Pavia, ora Cooperativa LiberaMente.
Un libriccino di 50 pagine denso, densissimo, teso ma anche di morbida nostalgia, che si può senza tema di smentita definire un “piccolo” caso editorial-letterario, dal momento che, stampatane in 500 copie la prima edizione nel marzo 2009, è giunto nel novembre 2012 alla tredicesima edizione (nella circostanza 1.000 copie), il tutto per la ragguardevole cifra di 7.000 copie stampate e diffuse (www.barbarah.info). Strepitoso risultato in un Paese come il nostro che disdegna sovente la virtù e il valore della lettura e considera la poesia un fenomeno di nicchia se non indecifrabile.
Un libro peraltro non didascalico, perché piuttosto arduo è spiegare il senso della vita, ma oltremodo ricco di emozioni, sentimenti, meditazioni, abbandoni al mistero che l’esistenza stessa è ogni giorno offrendoci, nello sgranarsi del suo rosario, gioie e dolori, malinconia e allegria, delusioni, disillusioni e, pur sempre, speranze. «Le lacrime scendono sulle cosce bagnandole/ E poi quasi asciutte giù, sui piedi.// Le cosce non perdono il sapore di certi momenti,/ anche sotto la pioggia asciutta». Versi in tal caso essenziali, scabri, di quieta tristezza, di mesta consapevolezza forse, ma non di resa nonostante il destino ci conduca a… «La gola secca bagnata dalla saliva asciutta./ Le gambe gonfie che perdono liquidi gialli./ E la testa leggera che pensa cose celesti,/ Sottoterra tutto cenere come carta bruciata».
E anche quando «l’inevitabile fine della solitudine investe» e piove, piove, piove – come le lacrime che rigano scavandoci canyon nell’anima –, la natura può donare consolazione, un senso a quel che pare irragionevole disordine (ah l’insensata burocratizzazione del tempo destinato…) e un motivo di resistenza contro la violenza, fina e subdola o grossa e smodata che sia, fisica e psichica… “La pioggia degli alberi”: «Scende a picco, entra nelle bocche, di chi guarda il cielo/ Arriccia i capelli lisci,/ Lascia le goccioline sugli occhiali,/ Inumidisce le spalle strette e larghe,/ Rilucida le scarpe,/ E, a tratti, colora di grigio scuro la strada.// E se un volatile s’appoggia alle fronde/ Allora sì, è un diluvio di acqua/ Per un istante.// Sotto un albero ho confuso le mie lacrime per te/ Con i giochi bagnati degli uccelli,/ Nascosta dal loro divertito cinguettio». Perché la vita è anche questo “divertito cinguettio”, non solo sopraffazione e arbitrio o noia. Possiamo parlare, per la poesia della Gugliemana, di profonda indagine introspettiva, di un’attentissima osservazione dell’universo circostante, di catarsi, di partecipazione e, aiutata in ciò anche dal suo lavoro quotidiano rivolto a lenire le difficoltà e il bisogno, di solidarietà.
Completiamo con una miscellanea d’altri versi…
“Scende il buio”: «Freddo come il nero dei vetri nudi,/ liscio come il ghiaccio di una lacrima/ e pauroso per quello che mostra/ Rimango a guardarlo, avvolta».
“L’acqua novembrina”: «Slava le superfici/ lisciate,/ sbrodola gocce calde/ rotonde,/ appannati i vetri su profilo dello sguardo/ E mentre fuori l’ortensia rosa antico/ inscurita s’inginocchia/ e mentre dentro io mi vedo/ foglia verde passita,/ accartocciatasi sul tramonto/ del silenzio».
“L’ombra di un giorno”: «Il miagolio del calore dei gatti, suona nelle notti/ mentre lontano una voce di donna, grida il suo amore./ A finestre aperte risonanze./ Spiffera, anche il pianto di un bambino». (Virgole che spezzano e insieme dettano il ritmo… “una voce di donna” a gridare “il suo amore”, il cerchio che si chiude, vita nel grembo, madri, mogli, figlie, sorelle… la parte migliore che abita e colora il mondo).
«E vedrò quanto soffri e a mio modo ti consolerò/ perché quando le lacrime ci sono le sento/ e se non so asciugartele/ te le trasformerò in cristalli di neve/ da sciogliere al sole// E non mi dimenticherò mai di chi ho amato,/ anche solo per un verso/ lasciando che questi non si dimentichino mai/ di quell’ode alla vita/ che m’hanno fatto fare/ alla loro conoscenza// E infine uscirò di casa/ per vedere che uscire è rientrare in altro/ di se stessi».
Alberto Figliolia
(da Lib(e)roLibro, 3 novembre 2013)