Daniela Cattani Rusich
C'è nessuno?
Onirica Edizioni, 2011, pp. 108, € 10
In un momento tutto il film della mia vita mi è ripassato davanti agli occhi. E io non ero nel cast! (Woody Allen)
L'infinito gioco della casualità, che innesca la causalità. Destini che s'intrecciano secondo le più impreviste maniere. Solitudini che si sfiorano. Incontri ed eventi imprevedibili, imprevisti. Tragico e farsesco che si sovrappongono e non sai più distinguere cosa da cosa. Il dramma della banalità, o forse... la banalità del dramma? C'è nessuno? verrebbe da chiedere o, anche, urlare: nei più marginali meandri della metropoli, fra strade deserte o convulse, fra i falansteri, nell'incerta illuminazione delle stanze. Perché la centralità sta pure nelle periferie o nelle esistenze più apparentemente scontate o scentrate.
«Una vecchia signora, due ragazzi innamorati, un poliziotto frustrato, un cane randagio, uno scrittore senza ispirazione, un ladro sfigato, una giovane donna, un barbone e un emerito signor Nessuno». Quest'ultimo un vero Monsù Travet: «Mi dirigo saltellando su un piede verso la cucina, in perlustrazione rassegnata, consapevole che non avrò la fortuna del giorno prima. Sul tavolo c'è ancora la vaschetta di alluminio abbandonata ieri sera. La osservo. Sul fondo è avanzato il sugo delle polpette comprate in rosticceria; prendo un pezzo di pane raffermo e ripulisco tutto. La vaschetta ora è come nuova: riciclo effettuato. Nel frattempo l'occhio vaga incrociando le bollette appoggiate sulla credenza, scadute da alcuni giorni». E, aggiungiamoci, fra i “personaggi” – quasi di straforo, accessorio non richiesto e sullo sfondo – un gratta e vinci (che in fondo nel dipanarsi della storia non inciderà).
Daniela Cattani Rusich – nata «per caso a Milano, da madre greca e padre friulano. Nel suo sangue misto pullulano anche i geni turchi della nonna, quelli slavi del nonno e quelli armeni dei bisnonni» (meglio di così non si poteva proprio fare né azzardare) – ha saputo offrirci con C'è nessuno? una storia assolutamente deliziosa, seppur non priva, sovente, di accenti malinconici. Peraltro le sue sliding doors si aprono chiudono riaprono con sempre rinnovata meraviglia. L'ironia funge da filtro, la partecipazione emotiva (mai superficiale) da collante. Senza cadere nel patetico, si può versare anche una lacrima (l'incontro fra padre e figlia... «Il clochard è visibilmente turbato, gli occhi illuminati come fari spenti nella notte da troppo tempo»).
Il lieto fine parrebbe garantito, ma il retrogusto, nonostante tutto, è amaro. Il mondo, dopo il caleidoscopico groviglio di vicende e vicissitudini, sembrerebbe incasellarsi in modo alquanto soddisfacente. Ma qualcuno proseguirà la propria grigia routine e ad altri non sarà restituito quanto il rosario dei giorni ha tolto nel suo spietato e cinico sgranarsi. La caduta negli inferi, ma anche il gioco mai smesso della speranza. Il sogno, un nuovo incipit... «Nella nebbia, un'auto distrutta campeggia in mezzo alla strada deserta. Il coyote si è allontanato da un po', lasciando solo orme di sangue. Lui è stordito, non ricorda cosa sia accaduto. Poi si trova di fronte il volto di Kelly, l'espressione serena. Non ha un graffio, il suo petto non è più squarciato dal vetro che le si era conficcato dentro, togliendole il respiro per sempre. Lei lo abbraccia, mormorando: “Io adesso vado. Tu continua anche per me”.
Cerca di afferrarla, Patrick, ma gli sfugge fra le dita, senza più parole né carne; solo sorrisi. E luce».
La scrittura della Cattani Rusich, che è anche poetessa e performer, è semplice ma ricca, piana ma sapiente. C'è nessuno? ha la levità della favola e la profondità del romanzo (breve), una storia scanzonata quando occorre e seria quando serve. L'amore per fortuna sempre in agguato.
Non smetteremo di esplorare. E alla fine del nostro viaggio torneremo là, da dove siamo partiti, per conoscere quel posto per la prima volta. (T.S. Eliot)
Alberto Figliolia