Quelli che...
Quello che alle sei del mattino si alzava.
Quello che spegneva finalmente la luce.
Quello che ai giocatori dava del lei.
Quello che dava del tu, e spesso del mona.
Quello che non poteva fare a meno della lavagna tattica, al punto da inventarsene un modello da viaggio.
Quello che non l’avrebbe usata nemmeno sotto tortura.
Quello che era uno scienziato del football, con qualche sconfinamento nella stregoneria.
Quello che prima l’uomo, poi il calciatore.
Quello che metteva per iscritto con una grafia minuta tutto il suo lavoro.
Quello che scarabocchiava una formazione ogni tanto, purché su una tovaglia d’osteria.
Quello che parlava tre lingue e se la cavava con l’arabo.
Quello che ha sempre e soltanto praticato il triestino.
Quello che considerava il pasto una noiosa incombenza da sbrigare al volo.
Quello che da tavola non si alzava mai, pur di infliggere a chi lo nutriva e soprattutto dissetava perdite irreparabili.
Quello che si esprimeva per proclami.
Quello che la battuta innanzitutto.
Quello che si chiamava Helenio Herrera, cittadino del mondo se mai ve n’è stato uno.
Quello che era nato Nereo Roch, e del tramonto dell’impero di Francesco Giuseppe non s’è mai dato davvero pace.
Gigi Garanzini
'Ndemo, 'ndemo, fioj, che al mago ghe batémo le croste... si tratta dell'impareggiabile triestino di Nereo Rocco quando doveva caricare le sue truppe rossonere contro i cugini dell'Inter. Il Mago è, ovviamente, Helenio Herrera, soprannominato anche HH1 o Accaccone per distinguerlo dall'omonimo Herrera, Heriberto, paraguayano, ribattezzato HH2 o Accacchino. Calcio degli anni Sessanta, un magnifico bianco e nero e Inter e Milan a dominare la scena nazionale, l'Europa e il mondo intero. San Siro era la Scala del calcio anche quand'era avvolta dalla nebbia.
Nereo Rocco, triestino doc, nato Roch sotto l'impero asburgico e i favoriti di Cecco Beppe nel 1912, figlio di un prosperoso macellaio, attaccante di un certo valore negli anni Trenta con Triestina e Napoli, persino una presenza in azzurro (45' contro la Grecia in un 4-0 del 1934, propedeutico a quei prossimi e vittoriosi Mondiali nostrani). Helenio Herrera, nato a Buenos Aires il 16 aprile 1910 (anche se lui per anni si spacciò come venuto al mondo nel 1916, bugia scoperta solo alla sua morte) da un anarchico andaluso, Paco el Sevillano, e da un donnone di imprecisati (tanti) chili e vissuto fra Argentina, Marocco, Francia, Spagna e Italia. Così dissimili così vicini, Helenio e Nereo. Nella poesia di Gigi Garanzini c'è tutto dei due.
Rocco, il condottiero del Milan, dopo avere fatto miracoli in provincia (un pazzesco secondo posto con la Triestina nel 1948 e un'altrettanto formidabile terza piazza col Padova nel 1958): due scudetti (1962 e 1968), due Coppe dei Campioni (1963, la prima per un club tricolore, e 1969), due Coppe delle Coppe (1968 e 1973), una Intercontinentale (1969), rifinita e subita nella mattanza in Sud-America contro l'Estudiantes, due Coppe Italia (1972 e 1973). Herrera, il conducator interista: due tricolori (1963, 1965 e 1966), due Coppe dei Campioni (1964 e 1965) e due Intercontinentali (1964 e 1965). E Milano in un vertice, apologo, di creatività in tutti campi: architettura, letteratura, teatro e cinema, musica, pittura e design. Che tempi, ragazzi!
Ben venga dunque la mostra “Quelli che... Milan Inter '63. La leggenda del Mago e del Paròn” allestita al Palazzo Reale di Milano sino all'8 settembre. Mister te sarà tì, muso de mona, gridava e scherzava il burbero Nereo, mentre Helenio si faceva fotografare nudo nell'accingersi alla pratica di yoga quotidiano, «un'ora di esercizi in cui si diceva in francese, e a voce alta, quant'era calmo, quant'era sereno, e quanto era bello […] Quello che... Quello che se l'è sempre tirata da poaréto. E se a uno scappava detto “Caro Paròn, vinca il migliore”, si ritrovava fulminato sul posto: Ciò, spérémo de no. Quello che... Quello che non risulta sia mai successo. Ma, se qualcuno avesse osato, ne sarebbe uscito fulminato alla rovescia: Amigo, claro que sì». L'uno aveva Gianni Rivera, il Golden Boy o l'Abatino, come voi preferite, genio a non finire, arte del passaggio e, se occorreva, abilissimo goleador; l'altro Sandrino Mazzola, sublime figlio d'arte, saettante nel dribbling e secchissimo nel tiro. Due fenomeni, anche di costume. L'incipit di una celeberrima formazione rocconera era Cudicini-Anquilletti-Schnellinger; l'altro inizio di rosario era Sarti-Burgnich-Facchetti... A Milano sbarcavano emigranti a iosa, che divenivano rapidamente milanesi, e la Stazione Centrale era, secondo Anna Maria Ortese, «porto del lavoro, ponte della necessità, estuario del sangue semplice». Definizione perfetta.
Maglie, memorabilia, installazioni e oggetti di culto, trofei, documenti, foto e video dalle teche RAI, non manca nulla in questa mostra, che avvolge, affascina, dona una piacevole sensazione di nostalgia . C'è anche un quadro che l'illustre dipintore Giorgio De Chirico regalò all'amico Nereo, pare per consolarlo di una delle rare sconfitte. Rivive con e attraverso le gesta di Inter e Milan la Milano euforica, feconda e creativa di quegli anni, con Adriano Celentano e Enzo Jannacci, Walter Chiari e Gino Bramieri, Maria Callas e Renata Tebaldi, la Motta e l'Alemagna, industria e coscienza operaia, Bianciardi, La vita agra e Brera. Il raffronto con il presente suona quasi impietoso.
Alberto Figliolia
Quelli che... Milan Inter '63. La leggenda del Mago e del Paròn, Palazzo Reale, Piazza Duomo 12, Milano. Sino all'8 settembre. Orari: lun 14:30-19:30; mar, mer, ven e dom 9:30-19:30; gio e sab 9,30-22,30.
www.mostramilaninter63.it