Quando Yoani è comparsa sul palco del Teatro “Manzoni” di Monza, col suo semplice vestito verde chiaro, ha salutato la sala con sguardo sorridente, vigile e impenetrabile (ma sprizzano gioia i suoi occhi riconoscendo tra il pubblico la faccia di qualche amico conosciuto chissà dove chissà quando) e si è seduta al tavolo subito impugnando il microfono, sua arma preferita. Fatta entrare dal retro, con qualche cinque minuti di ritardo più che tollerabile nello scorribandare intercontinentale di questi '80 giorni' che la vedono comparire ora in questo e poco dopo in quest'altro paese, per evitare qualche eccitamento intemperante da parte dei celebranti di rito ortodosso che, immancabili, piantonavano l'ingresso del pubblico (così confermando agli avventori di fuori città d'esser giunti nel posto giusto) agghindati colle loro bandiere, e le falci e i martelli, sgranando il consueto rosario di contumelie e scomuniche. Non ha atteso che la raggiungessero sul palco né il traduttore né Gordiano Lupi, autore del libro in presentazione (Yoani Sánchez. In attesa della primavera, Edizioni Anordest), che tardavano a trovar parcheggio per il mezzo con il quale l'avevano accompagnata, per rispondere – subito dopo il saluto del Sindaco, che ha voluto metterci la faccia – alla prima domanda del Cittadino, settimanale del luogo e organizzatore dell'evento (anteprima della rassegna “Le primavere di Monza”). Nel suo “castigliano universale”, davvero più facilmente comprensibile anche per noi, non ce ne voglia il giovane traduttore, dello stentato italiano utilizzato per convertire le sue parole, ha detto che non sono novità le accuse di antipatriottismo e di essere al soldo degli Usa. In tutti questi oltre cinquant'anni di regime non v'è stata una sola persona che, avendo espresso una propria opinione o comunque diversa da quella del governo, non l'abbia ricevuta. Subendo il conseguente trattamento, fatto di offese e insulti, pestaggi e persecuzioni, teso a intimorire. Sia il singolo interessato che l'intero popolo. Quel che è certo, e che sempre ama ripetere, è che esprimere una critica a Fidel Castro o al Partito Comunista, contraddire le versioni ufficiali del Governo o diffondere notizie che vengono censurate, non significa in alcun modo esser contro Cuba.
E cosi, dettagliando con pacatezza e chiarezza non comuni, ha risposto a ciascuna delle numerose domande rivoltele – anche quelle meno... benevoli – sia dagli interlocutori sul palco che dal pubblico, per più di due ore. Più di duecento i partecipanti all'incontro, tra i quali almeno una cinquantina di esuli cubani, o cubani residenti in Italia, venuti anche da province lombarde e di altre regioni. Nuovo, quest'ultimo aspetto, verificatosi anche ai precedenti appuntamenti di Perugia e Torino, perché in passato i cubani avevano paura e difficoltà a presentarsi a viso aperto in queste circostanze. Segno dei tempi, probabilmente, e indubbiamente dell'opera di Yoani Sánchez. Inutile cercare di darvi un resoconto esaustivo delle sue parole, ché mancherebbero il fascino dell'abilità oratoria e la straordinaria lucidità dell'argomentare puntuale di Yoani. Piuttosto vi proporremo in calce al post, ove il Cittadino lo rendesse pubblico, il video-streaming dell'evento. Una caratteristica ricorrente del suo eloquio, questo ve lo possiamo annotare, è quella di partire sempre dalla sua esperienza di vita; un po' come fa nel suo blog, Generazione Y, e nei suoi testi. Numerosi quindi gli 'aneddoti', come lei li chiama, presi dalla sua vita. Come quello del figlio, ora diciottenne, che tornando da scuola le riferiva: la maestra ci ha detto oggi di aver incaricato uno di noi, la cui identità rimane segreta, di tenere una lista nella quale scrivere i nomi di quanti non si comportano correttamente. Un episodio metafora dell'intera società cubana, esattamente come già ci è stato raccontato in efficacissime opere di scrittori e registi dei regimi comunisti dell'Est europeo.
Non sono un'analista politica, ha risposto quando infine le è stato chiesto per quando e come si potesse prevedere un cambiamento per l'Isola. Eppure, con l'immagine del calderone nel quale finiscono diversi ingredienti a comporre la zuppa del regime con il pizzico di rivoluzione digitale (e Twitter, soprattutto! Col suo meccanismo fuori-dentro di effetto boomerang...) come pepe a insaporire il tutto, ha ben spiegato la dura pratica di 'civismo' coerentemente nonviolento che unendo tutti i cubani, sia quelli dentro che quelli al di fuori del paese, porterà all'ineluttabile superamento del regime. Una figura così minuta, secca e mingherlina, che non può non far pensare a un Gandhi del nuovo secolo (o come Aung San Suu Kyi, commenterà Gordiano poco più tardi in pizzeria). Se la considerazione vi sembrasse eccessiva, l'unica cosa che possiamo fare è invitarvi ad ascoltarla, a leggerla, a meglio conoscerla.
A seguire, e s'eran già fatte le 7 e mezza, una sala più defalcata di presenze ma non meno attenta e partecipe, ha assistito alla proiezione del film di Pierantonio Micciarelli, Soy la otra Cuba. Pellicola squisitissima, e poetica oseremmo dire, pur nella crudezza di cui sappiamo esser fatta la realtà (come non trasalire al vero 'incidente' durante l'intervista in auto con Laura Pollan, all'epoca presidentessa delle Damas de blanco e ora scomparsa, quando ancora fresco è il ricordo di quello, nefasto, che poi accadrà a Oswaldo Payá Sardiñas?), come attestato dall'applauso scrosciato sui titoli di coda che ha colto di sorpresa l'emozionatissimo regista presente in sala. La cosa più triste poi, e che fa decisamente arrabbiare (non so voi...), è che per un tale encomiabile lavoro non si sia potuto trovare una distribuzione in Italia. Nessuna tv che l'abbia trasmesso; a distanza di un paio di anni quella di Monza è la prima proiezione sul grande schermo. Non pare, a voi, che qualche problema di... regime l'abbiamo anche in Italia? Che, sempre senza alzare la voce, qualche cosa e di estremamente utile Yoani abbia da dire anche a noi? (Enea Sansi)