Si è aperta a Roma, alle Scuderie del Quirinale la grande mostra di Tiziano: dal 5 marzo, fino al 16 giugno 2013, a cura di Giovanni C.F. Villa (catalogo Silvana Editoriale).
L’evento conclude un percorso che ha sviluppato l’analisi dell’opera dei protagonisti della rivoluzione pittorica moderna – da Antonello da Messina a Giovanni Bellini, da Lorenzo Lotto a Tintoretto – di cui Tiziano è testimonianza finale e altissima quale artista europeo per eccellenza.
Grande protagonista del Rinascimento, personaggio di spicco della cultura umanistica, allievo di Giorgione e attento studioso della lezione di Dürer e di Michelangelo, Tiziano si impone nella storia artistica e sociale del tempo con la prepotenza della propria individualità e per il coraggio innovativo espresso nelle pale e nei dipinti religiosi, nelle composizioni mitologiche, nei ritratti. È il primo pittore che riesce a dare aria, luce, al “sentimento” della natura che esalta con la forza del colore la monumentalità dell’immagine. Sconvolgendo così le vecchie regole della composizione, Tiziano crea all’interno del quadro, della forma stessa, un nuovo contenuto poetico che esprime, senza falsi pudori e moralismi, una visione aperta e disincantata del mondo. Già a partire dall’Assunta, eseguita per la Chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari a Venezia, uno dei suoi intenti dichiarati è quello di rivitalizzare il genere della pala d’altare. D’ora in avanti il dipinto religioso non solo assume toni più drammatici, ma sostituisce, al precedente rigore formale, un dinamismo cromatico ed espressivo senza precedenti, in cui la tensione è tutta volta al paesaggio e alla figura umana. Nella mostra romana è presente la pala Gozzi di Ancona, in cui sono raffigurati Madonna col Bambino in gloria, i santi Francesco e Biagio e il donatore Alvise Gozzi. L’autografia e la cronologia accertate dalla iscrizione fanno di questo dipinto – il più antico tra quelli di soggetto religioso a portare la data e la firma del pittore – un autentico punto fermo della produzione giovanile di Tiziano. La composizione è suddivisa in due parti: in alto, tra le nubi, appare la Vergine che a stento trattiene il vivacissimo Bambino e rivolge lo sguardo in basso, verso il gruppo di destra; nel registro inferiore si trovano a sinistra la statuaria figura di san Francesco e a destra quella di un altro santo, colto nell’atto di presentare alla Madonna il committente del dipinto, ritratto in ginocchio, quasi di profilo.
La vita di corte cinquecentesca trova in Tiziano un nuovo interprete dell’eterno mito classico. Maestro nel contrapporre toni e ritmi diversi, tenendosi lontano dalla metafora e dando prova di grande sensibilità, il pittore accentua l’impressione musicale, introducendo nel quadro figure di musici, strumenti come liuto e il flauto. Adatta alle proprie esigenze di classicità le romantiche giorgionesche lezioni di chiaroscuro e carica la bellezza di erotismo. Libera e scioglie la pennellata da schemi noti e limitanti. Si spinge oltre la allusioni e i simboli e accende la scena di luce solare e di poesia. Il Concerto (Concerto interrotto) di Palazzo Pitti (in mostra) è una delle opere tizianesche che vantano la più vasta bibliografia. La critica moderna si è sostanzialmente divisa tra l’assegnazione a Giorgione e a quella di Tiziano ma è, quest’ultima che ha prevalso tra gli studiosi e, altresì, concorde nell’assegnare all’opera una datazione prossima alla realizzazione degli affreschi della Scuola del Santo a Padova. La fortuna critica della Flora (Firenze, Uffizi), presente, dopo il restauro, in tutto il suo fulgore in mostra, è opera considerata tra i massimi capolavori della produzione giovanile di Tiziano, il vertice della ricerca volta al raggiungimento del più puro classicismo di forma e di colore, ottenuto tramite la ricchezza dell’impasto materico e la fusione dei passaggi tonali. Il Ritratto di Carlo V in piedi con il cane (Madrid, Museo del Prado), grandioso, nella sua impostazione (192 x 111) è il più antico tra i ritratti giunto fino a noi che sia stato dipinto da Tiziano a figura intera, cui ne fanno seguito altri, per lo più dedicati a personaggi legati alla corte imperiale. La figura in primissimo piano, balza fuori dal fondo oscuro omogeneo, in modo da conferire smalto ai toni caldi, che costituiscono un’autentica sinfonia nelle diverse gradazioni del bruno, fino a conferire alla figura dell’imperatore una suggestione misteriosa, un’eleganza sottilmente araldica. Tiziano, appassionato interprete della letteratura classica e di Ovidio in particolare, chiama “poesie” quelle opere, in cui pone in evidenza la voluttà del nudo femminile. Nel 1554, dopo aver annunciato di aver terminato e spedito Venere e Adone, scrive il pittore a Filippo II: «È perché la Danae, che io mandai già a Vostra Maestà, si vedeva tutta dalla parte dinanzi, ho voluto in quest’altra poesia variare, e farla mostrare la contraria parte, acciocché riesca il camerino, dove hanno da stare, più prezioso alla vista. Tosto le mando la poesia di Perseo e Andromeda, che avrà un’altra vista diversa da questa; e così Medea e Giasone». Quest’ultimo quadro non venne mai dipinto. La Danae presente alle Scuderie del Quirinale, proviene dalle Gallerie di Capodimonte di Napoli, l’opera è stata eseguita per Alessandro Farnese; messa in lavoro a Venezia nel 1544 ed è stata portata a compimento da Tiziano durante il suo soggiorno a Roma tra la fine del 1545 e i primi mesi dell’anno successivo. Raffigura il momento in cui la figlia di Acrisio, re di Argo, rinchiusa dai genitori nella torre, per metterla in salvo dai desideri di Giove, è egualmente posseduta dal padre degli dei, tramutatosi in una pioggia d’oro. Il fatto che Tiziano abbia raffigurato tale pioggia frammista di monete egualmente d’oro ha autorizzato parte della critica a ritenere che nella Danae non sia raffigurata la virtuosa eroina della tradizione letteraria, quanto piuttosto che in essa si celi l’immagine di una cortigiana, dedita all’amore mercenario. La punizione di Marsia (Kroměřiž, Palazzo Arcivescovile), capolavoro che conclude la mostra, è un’opera che si qualifica come uno dei più alti raggiungimenti della fase finale di Tiziano, ormai dentro l’ottavo decennio. Ne fa fede la qualità altissima della realizzazione pittorica, che nella materia sfatta e stesa a pennellate veementi e sovrapposte, ritoccate poi con le dita, ricorda la Pietà delle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Il dipinto narra la vicenda di Marsia, satiro frigio eccellente nell’arte di suonare il flauto, che ebbe l’ardire di sfidare Apollo in una gara musicale e che, risultato sconfitto, venne scorticato dal dio. Sulla destra della composizione siede Mida, re della Frigia e giudice della contesa musicale tra Apollo e Pan, punito dal dio per aver dato la palma della vittoria a Pan attribuendogli orecchie d’asino. Tiziano riunisce nella tela i due miti di Apollo e Pan, rendendo ancor più complesso il soggetto. Se questo è l’assunto generale del dipinto, numerosi particolari iconografici hanno incuriosito la critica, che ha incentrato la sua attenzione sulla figura del violinista a sinistra, variamente ritenuto seconda immagine di Apollo, oppure Orfeo, o sulla figura di re Mida, che assiste meditabondo allo scuoiamento del satiro, e che inequivocabilmente costituisce un autoritratto del pittore. C’è quasi una visione drammaticamente autobiografica nel dipinto in cui Tiziano vedendo la lunga illusione del tocco d’oro, spenta dalla coscienza finale dell’assoluta irrilevanza dell’operazione artistica di fronte alle disgrazie della storia.
Così come avverte Berenson, questi ultimi volti «recano la fatica del vivere».
Maria Paola Forlani