… Uno torna sempre al suo vecchio posto dove amò la vita
E allora comprende come stando assente le cose che ha amato
Perché semplice è l’amor e le semplici cose se le divora il tempo
Vinicio Capossela
RIDAMMELA
Aveva un carretto napoletano
che conteneva i zufranei
Sì era sbeccato,
ma andava per la sua strada
Aveva la sua bilancia bianca
con cui controllava il peso della carne,
spostando i piombini
La macellaia sbagliava a suo sfavore
Aveva quel grande cuscinone color porpora
ai piedi del suo letto di noce, che teneva i piedi più caldi
anche se mi diceva che se non avessi smesso di muoverli nella notte
il diavolo me li avrebbe mangiati
Aveva tre porta cocò
quello rosso, quello blu e quello giallo
ma del colore giallo non ne sono più troppo sicura
E un uovo con quel gusto non ne ho più assaggiato
E aveva quel rosario grande sulla parete destra della sua camera
quella stanza con il profumo di cera e il pavimento di parquet
e quella madonna d’argento sul panno blu
che vedevi al risveglio sulla parete di fronte
che era quasi impossibile non pregarla,
e sulla stessa mi aveva fatto giurare che non avrei più fumato
Aveva quella radio accesa la mattina con il gazzettino padano
e il profumo di caffè, che anche se non lo bevevo passava sotto le porte
e mi raggiungeva ancora a letto richiamandomi
in cucina, dove mi aspettavano i bocconcini di pane con il burro
e la sua marmellata di fragole,
così come i micini avevano il loro piattino con il latte caldo
E tutto andava piano,
con il gusto della poesia
che ancora ignoravo
Aveva sempre i piatti da lavare,
in questo ho preso da lei
e diceva che li avrebbe buttati volentieri dalla lobbia
E poi quelle minestre di erbe del suo orto
con gli spaghetti spezzettati
E sulla fornella il pentolone con la biancheria a bollire,
a disinfettarsi
Eppoi d’inverno nella bocca della stufa ci infilavamo i nostri piedi
e lei prendeva le lettere dello zio Giovanni
disperso in Russia
e piangendo me le rileggeva lasciandomi stupita,
così tanti anni passati e così tanto dolore aperto
fresco sulla carne
E c’erano i giorni di acqua
che vedevamo scendere sui vetri con le sue grandi gocce
E lei cuciva, e le castagne cuocevano ore ore nel laveggio
e la panna fresca era stata montata
Aveva vicino quel suo cofanetto di velluto con i bottoni
dove ne prendevo dei più strani per attaccarli alle stoffette,
come me non li cuce nessuno oggigiorno i bottoni
E aveva anche quella scatola di latta ottonata che conteneva i savoiardi
che a me non piacevano neanche troppo
Aveva i suoi scusalini, i suoi grembiuli colorati
e i suoi pettenuzz, i suoi vestiti da casa e di vigna,
l’armadio era pieno di quelli nuovi mi diceva
insieme ad altro
che rivorrei tutto indietro.
Alla mia adorata nonna Irma
(Napoli, 11 febbraio 2013)
Barbarah Guglielmana