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I “Brevissimi” di Maria Lanciotti/ 2. Il senso del falco
07 Febbraio 2013
 

Il mio patrigno mi disse: – Ormai sei grande, è ora che provvedi a te stessa.

Era il giorno del mio compleanno. Avevo undici anni e cinque fratellini più piccoli di me.

E così mi ritrovai a servizio presso una famiglia in città. La signora si chiamava Amalia e faceva la maestra, il marito si chiamava Amedeo ed era colonnello in pensione, il figlio si chiamava Gabriele e girava con le stampelle e una gamba ciondoloni.

Mi dettero una bella stanzetta e mi dissero qual era il mio lavoro, che non mi sembrò pesante; dovevo occuparmi soprattutto di Gabriele, ma con la massima discrezione: se aveva bisogno di me, mi avrebbe chiamato.

E finalmente una mattina mi chiamò:

Mi prepari un caffè? – e d’allora ogni giorno gli portavo il caffè nello studio e per sua richiesta restavo seduta in un angolo a vederlo lavorare.

Gabriele scriveva articoli scientifici per una rivista specializzata e voleva che lo ascoltassi, mentre li rileggeva, prima di inviarli all’editore. Io non ci capivo nulla, ma la voce di Gabriele mi piaceva e trovavo interessanti i suoi articoli.

Avevo ripreso a studiare con la signora Amalia, e senza difficoltà imparavo tante cose interessanti. Studiavo sui libri che erano stati di Gabriele e mi piaceva ritrovare fra le pagine appunti e disegni di quand’era ragazzo.

In primavera Gabriele mi portò a fare un giro con la sua bella macchina sportiva, e in un negozio del centro mi comprò un vestito bianco che mi fece subito indossare.

Al ritorno, arrivati a casa, m’incamminai precedendolo come lui voleva, quando sentii un tonfo e voltandomi lo vidi a terra che tentava di recuperare le stampelle finite oltre il marciapiede.

Corsi per aiutarlo, ma lui mi fermò con uno sguardo che non gli conoscevo. Poi mi disse di non fare più una cosa simile e che lui non aveva bisogno di nessuno, ed io sentii tutta la solitudine di Gabriele e il suo rifiuto per ogni atto che potesse somigliare alla pietà.

In quella casa crescevo imparando il dolore e il coraggio, la tenerezza e la durezza del cuore e altri sentimenti che non mi sapevo spiegare.

Il colonnello era molto anziano e con gravi problemi di salute; diceva sua moglie che i segni delle guerre combattute egli se li portava scritti nelle ossa, insieme ai nomi dei suoi soldati caduti. E una mattina il colonnello non si risvegliò e fu composto nel suo letto con la sua bella divisa e tante medaglie. Gabriele si chiuse nella sua stanza e ne uscì a funerali avvenuti, rimpicciolito, mi parve, e ancora più pallido.

Ho paura della morte – disse qualche giorno dopo, mentre prendeva il caffè nel suo studio, e non pareva si rivolgesse a me. – Ho paura della morte e la desidero, una liberazione dalla galera del corpo. – E quelle parole oscure mi attrassero come uno specchio parlante.

Dopo qualche mese dalla morte del marito, la signora Amalia fu ricoverata in ospedale e non fece più ritorno a casa.

Rimasti soli, Gabriele mi disse di trasferirmi nella sua stanza perché gli facessi compagnia, e mi chiedeva di leggergli fino a tardi i suoi poeti prediletti.

Con quale senso la gallina sfugge al falco predatore?/ Con quale senso il piccione ammaestrato misura il cielo?/ Con quale senso l’ape forma celle? E con questi versi di Blake, che ogni sera voleva gli rileggessi, terminava la lettura. Commentava Gabriele: – E quale sarà il senso del falco predatore? – ed io abbassavo gli occhi per non sopportare il suo sguardo troppo acuto.

Una notte sognai che correvamo sulla riva del mare e al mattino Gabriele mi disse di prepararmi che mi avrebbe portato al mare. Una punta di freddo mi attaccò il cuore. Già altre volte era accaduto che Gabriele mi avesse letto nel pensiero o fosse penetrato nei miei sogni.

Il mare era bello come l’avevo visto in sogno ma noi non correvamo e un banco di nuvole si addensava sopra le nostre teste.

Anche quel giorno ero vestita di bianco, come sempre quando uscivo con Gabriele.

Sei una donna, Francesca – lui disse, sciogliendomi i capelli. – Ma sei anche una bambina e voglio vederti crescere libera e felice.

Libera come la gallina, il piccione e l’ape dei versi di Blake? Io pensai.

Ma per capire il senso della tua libertà dovrai seguirmi e fidarti di me. – E in quel momento fui certa che Gabriele possedeva la conoscenza della mia anima, che solo attraverso lui potevo anch’io acquisire. E m’incatenai al mio maestro, col dolore e la gioia di appartenergli.


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