Aung San Suu Kyi,
la dissidente gentile
Una delle più affascinanti storie di dissidenza è sicuramente quella di Aung San Suu Kyi. La sua lotta, il suo coraggio, sono il paradigma della grande forza rivelatrice della dissidenza politica moderna, della forza di rigenerazione, di aggregazione, di speranza che questo tipo di impegno può generare.
Aung San Suu Kyi nasce il 19 giugno 1945 a Rangoon, l'attuale Birmania. Il padre è un uomo noto e molto potente all'epoca. Generale dell'esercito birmano e importante esponente del Partito Comunista, è inoltre segretario del partito dal 1939 al 1941.
La vita di Aung San Suu Kyi è toccata immediatamente da eventi drammatici. Il padre viene assassinato per motivi politici nel 1947, dopo aver rivestito un ruolo importante nella trattativa con il Regno Unito che poi condusse alla sospirata indipendenza della Birmania.
L'impegno politico della famiglia non finisce con la morte violenta del padre perché la madre di Aung San Suu Kyi, Khin Kyi, riveste ruoli istituzionali sempre più importanti sino a essere nominata ambasciatrice birmana in India.
In India la bambina respira a pieni polmoni l'impegno politico, accompagnando costantemente la madre e frequentando le migliori istituzioni scolastiche del Paese.
Dal 1964 al 1967 è presso l'Università di Oxford, in Inghilterra, dove frequenta i corsi di economia, politica e filosofia. Alla fine degli studi accademici ottiene la laurea in Economia, Scienze politiche e Filosofia. Si trasferisce a New York, dove continua i suoi studi universitari e trova un impiego presso la sede delle Nazioni Unite.
All'inizio degli anni '70 incontra per la prima volta Micheal Harris, uno studioso noto per i suoi studi della cultura tibetana che diverrà presto suo marito. Dal loro matrimonio nascono due bambini: Kim e Alexander. Gli anni spensierati, di studio, la vita famigliare e la felicità sono però prossimi alla fine. Nel 1988 deve urgentemente lasciare gli Stati Uniti per raggiungere la Birmania a causa del gravissimo stato di salute della madre Khin. Proprio in quei giorni il Paese vive degli eventi drammatici. Il generale Saw Maung concentra nelle sue mani l'intero potere e fa della Birmania uno Stato dittatoriale.
San Suu Kyi ha la sensibilità democratica necessaria per comprendere prima di altri la gravità della situazione. Dopo molti ragionamenti decide di fondare la Lega Nazionale per la Democrazia, movimento politico nonviolento che fonda i suoi principi su quelli predicati dal Mahatma Gandhi.
Il regime del generale Saw Maung, non sottovaluta il pericolo.
Aung San Suu Kyi è una donna giovane, affascinante, colta. Pregna di spirito democratico e non violento agisce ostentando un grande coraggio. Le sue opinioni e i suoi progetti sono al tempo stesso semplici ma dalla forza dirompente. Aung San Suu Kyi parla di democrazia, di uguaglianza tra individui, di libertà, di diritti civili e politici.
Il regime militare birmano è furente con la donna. Decide di condannarla agli arresti domiciliari, a patto che lei non decida di lasciare la Birmania. Aung San Suu Kyi non cede. Malgrado la sua abitazione sia circondata dalle forze armate, costringendola all'isolamento, lei resta nel Paese per continuare la sua lotta civile.
Dopo alcuni anni di arresti domiciliari il regime birmano fa il primo errore strategico. Convinto di aver neutralizzato la forza e il fascino delle argomentazione della dissidente indice le elezioni politiche.
Il successo della Lega Nazionale per la Democrazia, e quello personale di Aung San Suu Kyi, è straordinario. Le sue parole, il suo impegno, la sua figura di dissidente non violenta, accendono i cuori dei birmani che la votano in massa. Il successo è tale che secondo l'architettura costituzionale birmana a Aung San Suu Kyi sarebbe toccato il ruolo di Primo Ministro del Paese.
Il regime militare reagisce in maniera durissima, annulla le elezioni, inasprisce se possibile l'isolamento di Aung San Suu Kyi, che oltre che illecitamente costretta agli arresti domiciliari si vede anche defraudata di una vittoria elettorale nettissima.
Il mondo civile è sconvolto da tale brutalità e sempre più si parla nei media di Aung San Suu Kyi, la dissidente che fa delle parole e della democrazia le sue sole armi.
Nel 1990 il Parlamento Europeo le conferisce il Premio Sacharov.
Nel 1991 le viene assegnato il prestigioso premio Nobel per la pace. Lei utilizza il consistente premio in denaro per aiutare il disastroso sistema di istruzione e sanitario del suo Paese.
Dopo ulteriori cinque anni di ferrei arresti domiciliari, le viene concessa una sorta di semilibertà. Ma è una libertà controllata, parziale e insoddisfacente. A Aung San Suu Kyi non è consentito di viaggiare fuori dal Paese. Se avesse lasciato la Birmania, infatti, il regime non gli avrebbe permesso il ritorno.
Vive questi anni di arresti domiciliari nell'isolamento politico, inoltre non le è consentito di vedere il marito e i figli, ai quali il regime birmano non concede i visti di ingresso, nella speranza che sia la donna a cedere ai sentimenti di moglie e madre uscendo dal Paese. A metà degli anni '90 il marito di Aung San Suu Kyi è colpito da un cancro, di nuovo e con crudeltà il regime impedisce la visita dei famigliari. Il marito muore nel 1999, lasciandola vedova.
Nel 2002 l'ONU esercita la massima pressione sul regime birmano affinché consenta a San Suu Kyi una maggiore libertà. Alla donna viene concesso di muoversi liberamente nel Paese.
Nel 2003 accade però un nuovo evento drammatico. Durante un incontro politico che raccoglie molti sostenitori di Aung San Suu Kyi l'esercito apre inspiegabilmente il fuoco uccidendo decine di persone. Per i media occidentali quell'avvenimento sembra avere tutto il sapore di un agguato, ma la donna riesce a salvarsi. Senza alcun motivo legale è di nuovo posta agli arresti domiciliari.
Le vessazioni, l'isolamento politico, il divieto della libertà dei movimenti, riconducono Aung San Suu Kyi al regime detentivo più duro. Gli Stati Uniti e l'Unione Europea fanno pressioni sui militari ma i loro appelli non persuadono il regime. Le condizioni di salute di Aung San Suu Kyi peggiorano. Viene sottoposta a cure e interventi chirurgici. Ma il suo nome è ormai di dominio pubblico. Riceve diverse lauree honoris causa da importanti Università americane ed europee, quando sembra aprirsi uno spiraglio.
Sono trascorsi altri quattro lunghi anni dall'agguato che sembrò attentare alla sua vita che Aung San Suu Kyi incontra un ministro del regime. Si crea nell'opinione pubblica una grande aspettativa, ma risultati dei dialoghi sono scarsi e per la donna non portano alcun risultato reale e nessun miglioramento della sua pessima condizione personale e politica.
Il 6 maggio del 2008 il Congresso degli Stati Uniti la insignisce della più grande onorificenza del Paese, la Medaglia d'Onore, per l'impegno profuso nella difesa dei diritti umani.
Se pure sembrano esserci di nuovo degli spiragli per la sua liberazione ancora un evento allontana la donna dalla libertà. Nel 2009 un fanatico religioso americano raggiunge la casa della politica birmana. Ad Aung San Suu Kyi il regime prolunga gli arresti domiciliari in seguito alla bugiarda accusa di essersi allontanata dalla sua abitazione.
Nel 2009 la Lega Nazionale per la Democrazia viene estromessa dai militari da ogni possibile ruolo politico. L'11 giugno 2009 Aung San Suu Kyi è condannata a tre anni di lavori forzati per via di una accusa di violazione della sicurezza.
Le viene concessa la libertà il 13 novembre 2010. Dal quel giorno potrà fare in piena autonomia quello che in realtà non ha mai smesso di fare durante la prigionia, battersi per le rivendicazioni del suo popolo, utilizzando i precetti gandhiani della nonviolenza e condurre la Birmania verso la democrazia.
All'inizio del mese di aprile del 2012 viene eletta ed ottiene un seggio in parlamento dopo quindici lunghi anni di arresti domiciliari. Il 18 giugno 2012 riceve a Oslo il premio Nobel che le era stato assegnato 21 anni prima.
Una dissidente, una donna coraggiosa, che sta conducendo il proprio paese verso la speranza della democrazia.
Massimo Campo
Parte 2 – continua...