In questi giorni a Cuba stanno per cominciare i comizi municipali per eleggere i delegati al Potere Popolare. I media ufficiali ci ripetono che “questa la migliore democrazia del mondo” e che è il momento scegliere tra noi “i più capaci”. Le strade si riempiono di cartelloni che alludono al tema e in ogni quartiere vengono resi pubblici gli elenchi dei candidati. L’atmosfera risulterebbe simile a quella di qualsiasi altro paese durante il periodo in cui vengono nominati i rappresentanti di zona, se non fosse per dettaglio importante: non esiste nessuna aspettativa che questo processo possa influire sulle incalzanti problematiche nazionali. Nessuna possibilità che produca un cambiamento.
La macchina elettorale cubana è del tutto bloccata. Gli abitanti di ogni zona votano per una biografia e una foto, ma non hanno diritto a chiedere al probabile delegato di circoscrizione la sua opinione su determinati problemi. In pratica, mettiamo un voto dentro un’urna senza sapere se il candidato sia favorevole o contrario ad ampliare il lavoro privato, se preferisca eliminare o mantenere le restrizioni migratorie e neppure se ritenga giusto prolungare o accorciare il Servizio Militare Obbligatorio. La stessa Legge Elettorale precisa che non si possono fare campagne politiche, quindi la popolazione può solo decidere in base alla biografia e al ritratto che preferisce.
Da qui derivano situazioni assurde come quella di indicare nella scheda un determinato nome perché ha l’aspetto della brava persona, oppure perché si è laureato come ingegnere e questo indica la sua laboriosità. Ci sono persone che scelgono un candidato con tre figli perché il fatto di essere padre o madre dovrebbe garantirne l’onestà. Altri ancora optano per un rappresentante perché l’hanno incontrato qualche volta al mercato. Il risultato finale è che quei delegati di quartiere che un giorno occuperanno un seggio nell’Assemblea Nazionale voteranno all’unanimità tutte le leggi che saranno presentate. E mai, dico mai, oseranno proporre il benché minimo cambiamento.
Yoani Sánchez
(dal Blog Cuba Libre, El País, 19 settembre 2012)
Traduzione di Gordiano Lupi