Abebe Bikila
A piedi scalzi contro la fame, Abebe,
tu fendevi le luci straniere,
la notte della città che fu il mondo,
i volti che sbucavano da marmi e rovine
con spente grida e sguardi rapiti,
e il selciato si faceva polvere
sotto i tuoi piedi nudi
come schegge di acrocori
su cui il sole batteva senza pietà.
Correvi e correvi e nel cuore, Abebe,
vagavano i ricordi di una terra
vibrante e brillante come un fuoco
nel deserto; correvi e correvi,
così vicino alla fatica e alle visioni
di guerrieri dei leggendari regni neri.
Nei tuoi muscoli, in ogni fibra, Abebe,
il cielo entrava come spilli di dolore,
i pensieri come lance aguzze nella mente,
il sangue un pulsante fiume senza tempo.
Un passo dopo l'altro, Abebe,
come un antico cristiano
lungo le strade della fede e del martirio
o uno schiavo che fuggiva
dalla crocifissione nei labirinti della paura.
Nelle arene del sogno riposava, Abebe,
il ritmo dei tuoi piedi e il respiro lento,
sospeso, scorticato nell'attesa della fine,
per vincere lontano, troppo lontano
dall'Etiopia degli odorosi altipiani.
Sul dorso del buio, fra croci di neon, Abebe,
alla grave iscrizione della gloria,
all'arco dell'orizzonte: soltanto
la parola muta, dinamica
dei tuoi piedi scalzi contro la fame.
Alberto Figliolia