Firenze – Dopo gli articoli di Roberto Saviano sul settimanale L'Espresso e Umberto Veronesi sul quotidiano La Repubblica, sull'opportunità di una legalizzazione della marijuana (ognuno con le sue dovute differenze), diverse autorevoli personalità hanno sentito l'opportunità di esternare il proprio pensiero in merito.
Bene.
Tra i vari politici e persone del mondo della cultura, spicca il procuratore generale della Repubblica di Firenze, Beniamino Deidda, che si è espresso per la legalizzazione della marijuana. Non così, invece, nella medesima procura, il procuratore capo Giuseppe Quattrocchi che, pur premettendo che «è un problema del legislatore. Noi siamo solo servitori della legge», ha comunque manifestato il proprio dissenso all'ipotesi legalizzatrice:« alla fine credo che i traffici si possano stroncare solo nel momento in cui si smette di assumere quelle sostanze».
Noi continuiamo a non capire perché servitori dello Stato investiti di così importanti funzioni come quelle delle indagini penali, sentano la necessità di pronunciarsi sulla bontà o meno di una legge. Sarà che siamo strenui assertori della divisione dei poteri per la buona amministrazione dello Stato, con l'illusione che questo sia uno dei pilastri di una magistratura indipendente che, però, con queste esternazioni dà scarsa espressione del proprio “super partes” (la famosa dea bendata o la bilancia coi piatti ad equa altezza).
Ma questo è il nostro Belpaese, questa la nostra giustizia.
Nostro Belpaese che, in materia di legalizzazione delle droghe, dorme un sonno lunghissimo nonostante un referendum popolare di tanti anni fa ne chiese l'applicazione. E nonostante, per esempio, un nostro disegno di legge che abbiamo fatto depositare in questa legislatura ai senatori Marco Perduca e Donatella Poretti.
Certamente ci sono iniziative istituzionali lodevoli in giro per l'uso terapeutico della cannabis, come quella della Provincia di Bolzano e della Regione Toscana e di alcune Asl. Ma riguardano solo l'aspetto sanitario della sostanza, lodevole ma limitato rispetto al diffusissimo uso ludico che, nei suoi risvolti giudiziari, sociali ed economici rappresenta il nodo del problema.
Quindi, va bene parlarne come già avviene da tantissimi anni, ma se dormono coloro che abbiamo mandato a rappresentarci nelle massime istituzioni legislative, dal parlarne alla rassegnazione di dover continuare a vivere nella illegalità, il passo è brevissimo.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc