Tirano. Dal palazzo Comunale, 22 giugno 2012
L’idea di animare durante l’estate corti e giardini dei palazzi tiranesi con un’iniziativa artistica di adeguata qualità è un suggerimento venuto dal Museo Etnografico Tiranese. Un’idea che ha subito trovato il favore degli assessorati alla Cultura e al Turismo e della intera Giunta, che guarda al progressivo miglioramento della qualità ambientale e dell’immagine cittadina come ad una componente fondamentale dello sviluppo turistico della città e, con essa, della provincia intera.
Per realizzare la mostra era necessario disporre di un sufficiente numero di opere, idonee per misura e per qualità artistica, trovare le necessarie risorse e procedere all’organizzazione. Abbiamo avuto in proposito due favorevoli coincidenze.
Sul piano organizzativo la possibilità di includere la mostra fra le iniziative del Distretto culturale della Valtellina nel cui ambito avevamo già identificato la valorizzazione dei palazzi del centro storico attraverso un circuito di itinerari che conducessero il visitatore alla scoperta del patrimonio storico-artistico della città e dei dintorni.
Per le opere le coincidenze sono addirittura più d’una: il 45° anniversario di attività dello scultore concittadino Valerio Righini; il riordino delle sue sculture nel nuovo studio di Madonna, l’“Alcantino”, proprio sulla strada che porta al confine; la stessa origine italo-svizzera della sua famiglia e la ricorrenza del cinquecentenario (1512-2012) dell’unione della valle alla Repubblica delle Tre Leghe, che vedrà Tirano e Poschiavo sedi di un convegno storico sull’argomento in coincidenza con l’inaugurazione della mostra.
La Biblioteca civica e il Consorzio Turistico, che già si occupano del Distretto Culturale, erano pronte a fare la loro parte e noi la nostra. Il curriculum dell’artista, le mostre a cui ha partecipato o che gli sono state dedicate, le pubbliche committenze per concorso, le opere in collezioni pubbliche e in musei, onorano la città e danno titolo alle sculture che verranno esposte di costituire, per un’estate, il biglietto da visita della Valle per i visitatori di questa mostra, sostenuta dal Comune e dalla Provincia, e che è inserita nell’azione del “Circuito del castelli e dei palazzi storici del Tiranese” del Distretto Culturale della Valtellina, promosso e realizzato all’interno del progetto Distretti culturali di Fondazione Cariplo.
Pietro Del Simone, Sindaco di Tirano
Stefania Stoppani, Assessore al Turismo
Bruno Ciapponi Landi, Assessore alla Cultura
VALERIO RIGHINI
nelle corti di Tirano
Forse è lecito chiedersi se l’opera d’arte sia qualcosa che si aggiunge al mondo, o che viceversa si sottrae al mondo. Che cosa significherebbe questo dilemma? Nell’immediatezza ci aspetteremmo di dover rispondere nel primo senso: l’artista, in quanto soggetto sociale, agisce presupponendo che il mondo sia costituzionalmente privo di qualcosa e che l’opera contribuisca a completarlo, a migliorarlo. E però, al tempo stesso, l’artista può pensare che la propria opera sia nel mondo ma non del mondo, cioè che nell’essere valutata nella sua pienezza l’opera non appartenga direttamente al mondo, non sia a esso subordinata, non coincida con quella idea di equilibrio e di autonomia che il mondo ha di se stesso.
Un’opera d’arte contemporanea collocata al centro del giardino o della corte di un antico palazzo nobiliare esercita, proprio in quanto tale, una funzione di straniamento rispetto al mondo visto come luogo collaudato di ordine e di stabilità. La scultura, appunto, è nel mondo ma non è del mondo, quasi si trattasse di una categoria teologica: quel fatto nuovo che essa rappresenta, la sua rottura con il contesto di abitualità che domina su quel giardino, è qualcosa che il mondo non conosceva e che viene perciò sfidato ad accertare (e ad accettare), qualcosa con cui occorre mediare, cui abituarsi gradualmente, qualcosa che sia necessario “addomesticare” per poterla ridurre a misura del mondo. La lingua tedesca usa l’aggettivo heimlich per designare qualcosa di segreto e di nascosto. La radice di questa parola indica la casa, la dimora, la sua intimità; c’è dunque un passaggio tra l’intimità della casa e la segretezza, la condizione di una situazione furtiva ed escludente. Ebbene, mi sembra che la posizione dell’opera d’arte rispetto allo spazio per essa nuovo della “casa” che la ospita sopraggiunga come un fatto clandestino in grado di mettere in crisi l’elemento stabile che è del mondo, e cioè sappia positivamente violare quella dimensione di segretezza autodifensiva, e ansiosamente esclusiva al fondo, che è lo spazio dell’antica corte.
L’arte plastica di Valerio Righini – ora riconfermata a valore dalla intraprendenza illuminata e sperimentatrice dei pubblici amministratori della città – arriva dunque a violare questa segretezza e contemporaneamente ad aprire le condizioni perché su di essa si apra una dimensione nuova di familiarità, si istituiscano parentele, complicità. Quel di più che entra negli spazi plurisecolari in lotta contro un processo, ineluttabile ma non irreversibile, di oblio, è il supplemento di senso portato da questa dimensione nuova che era nel mondo ma non del mondo. Se l’urto della materia dura e greve, spogliata di dolcezza, severamente “astratta” rispetto al contesto, se questo urto si dirige contro la intimità plurisecolare degli spazi di corte senza negoziarne la coabitazione, allora avremo un esito duro di contrasto, uno scambio di spaesamenti radicalizzato. Se, viceversa, la coesistenza si sarà rivelata possibile, gli opposti compatibili, si potrà avere un supplemento di senso, così che lo Heim potrà dirsi arricchito, piuttosto che scalfito, dall’incontro. Ma questo non sarà dovuto principalmente alla centralità dell’opera che bussa alle porte. Questa parte della responsabilità entro il processo di integrazione non sarà più addebitabile all’artista, sarà addebitabile allo spettatore: sarà quest’ultimo colui al quale verrà destinato – ecco il vero potere di questa arte alta, matura, internazionale per vocazione e formazione – il non facile, e per lo più inconscio, compito di regolamentare in quali parti l’essere nel mondo e l’essere del mondo si rivelino, scambiandosi i ruoli, in questa ardita operazione di straniamento e di rifunzionalizzazione regolamentata dentro il tempo storico della oggettività. Ma come definire una ricerca artistica che ci mobilita verso questi temi? Ci sono due risposte possibili. Una è implicita: solo una ricerca avanzata e ricca di coscienza culturale è in grado di suscitare interrogativi complessi; frutto specifico della consapevolezza del presente e delle responsabilità che ne derivano, l’opera non può che essere dotata di un quoziente di provocazioni divaricanti che ne strutturano l’estetico come unicità. L’altra è esplicita, e mira a organizzarsi in un sistema di segni che si chiamano tecniche, scuole, influssi, magisteri e filialità, superamenti e stabilizzazioni. Il discorso sarebbe esteso: mi limito a osservare che entrambi gli orizzonti di risposta sono le facce di un unico processo di valutazione. Il valore di un artista si vede dalla qualità delle domande che il suo lavoro pone a chi lo incontra.
Giorgio Luzzi
Palazzi storici sedi della mostra:
1. Palazzo Marinoni
2. Palazzo Torelli
3. Palazzo Merizzi
4. Palazzo Quadrio Curzio
5. Palazzo Salis
6. Palazzo Mazza
7. Palazzo Foppoli
8. Piazzetta Pievani
La mostra è a ingresso libero
Per informazioni sul progetto Distretti culturali:
www.fondazionecariplo.it/distretticulturali