La terza e ultima puntata sulle impressioni che i viaggiatori stranieri hanno espresso su Milano è dedicata ai “cugini” transalpini, che fin dal ‘500 hanno inserito Milano nel loro Grand Tour.
Tra i primi, ricordiamo il filosofo Michel Ejquem de Montaigne, celebre per i suoi Saggi, un’opera che lo colloca tra gli iniziatori del pensiero moderno. Come raccontò nel suo Diario di viaggio in Italia attraverso la Svizzera e la Germania nel 1580 e 1581, giunse a Milano sulla via del ritorno e perciò si limitò ad una descrizione veloce ma significativa, perché conteneva due caratteristiche che sarebbero state successivamente attribuite alla città con una certa regolarità: la ricchezza, e la somiglianza di Milano nientemeno che a Parigi. «Questa città è la più popolata d’Italia, grande, e piena d’ogni sorte d’artigiani, e di mercanzia: non dissomiglia troppo a Parigi, e ha molto la vista di città francese».
Nel Seicento lo scrittore e poeta Pierre D’Avity de Montmartin confermò subito queste impressione, ribadendo la ricchezza di “Milano la grande”. Una definizione che, considerato il suo passaggio avvenuto in un’epoca da tutti ritenuta di decadenza, ci fa domandare cosa realmente vedessero i viaggiatori. I quali, evidentemente, non osavano approfondire la visita ad altri quartieri che non fossero quelli centrali o allargare l’osservazione alla vita quotidiana.
Più articolato, invece, fu il giudizio di Maximilien Misson, autore di Nouveau Voyage d’Italie, un libro che fu tradotto in inglese, tedesco e olandese, costituendo un testo base per tutti i turisti del secolo seguente. Arrivato a Milano il 12 giugno 1688, il suo commento si segnala per la descrizione del Gabinetto del fu canonico Manfredi Settala, un vero museo di meraviglie naturali e meccaniche, tipico luogo della cultura seicentesca. Al suo interno si potevano trovare specchi, meridiane, orologi, strumenti musicali, oggetti provenienti dalle Indie, mummie, idoli, pietre, minerali, conchiglie e persino resti dei mitici liocorni! Per quanto riguarda il Duomo, invece, espresse una considerazione destinata a diventare tipica: l’impossibilità a finirlo, condita dall’originale osservazione che ciò poteva rispondere agli interessi della Chiesa, che così intascava lasciti testamentari assai vantaggiosi.
Il calendario mostrava il 24 settembre 1728, quando il noto filosofo, giurista, politico Charles Montesquieu giunse in una Milano dove avrebbe soggiornato per ben tre settimane e nella quale, come poi sarebbe accaduto a Stendhal, si identificò completamente. Il suo resoconto, che partiva dall’odio che i milanesi provavano per gli austriaci, accusati di mandare in rovina il paese, si allargò poi agli ambienti patrizi dell’aristocrazia meneghina, con i loro ritrovi di classe e le loro beghe politico-salottiere. Montesquieu descrisse accuratamente l’Ambrosiana («vi forniscono carta, inchiostro e penne. Ha una rendita di circa 2000 scudi ed è tenuta benissimo»), il Cenacolo («si vede la vita, il movimento, lo stupore sui quattro gruppi dei dodici Apostoli»), il Castello («è troppo grande; occorrerebbe una guarnigione di 6000 uomini, almeno, per difenderlo»). Recandosi poi a San Fedele, alla Ca’ Granda (dove narrò di 360 bambini abbandonati all’anno), a Porta Tosa, di cui raccontò perfino la storia della famosa statua con la donna dalla figa rasata.
Le parole di Montesquieu dimostravano un grande interesse per Milano, anche se, successivamente, nei suoi Cahier si permise un’osservazione che bollava i milanesi come tirchi: «I francesi lavorano per accumulare e spendere subito. Sembra, dicevo, che abbiano una mano avara e l’altra prodiga. Sono al tempo stesso, milanesi e fiorentini». Questa impressione, all’apparenza azzardata, non restò invece isolata e fu ripresa da Grosley nelle Nouveau mémoires, ou observations sur l’Italie et les italiens («i milanesi dividevano a Parigi con gli ebrei tutti i commerci in denaro o valori. I piccoli guadagni li allettano tanto, che non vi possono rinunciare») e da Monsieur de Lalande, direttore dell’Osservatorio di Parigi che, oltre ad esaltare il sistema dei Navigli, così scrisse: «I milanesi sono inoltre sono noti per la loro diffidenza; inoltre si rimprovera loro di fare economia sino all’eccesso. Questa grande economia rende il popolo attaccato al suo stato; i mercanti aprono presto e chiudono tardi, e qui ciascuno lavora più che nel resto d’Italia».
Evidentemente, dopo che qualcuno aveva espresso un giudizio, i viaggiatori seguenti tendevano a ripeterlo acriticamente. O forse, chissà, era vero. Comunque sia, questa riflessione costituisce un discutibile ma importante tassello nello studio di come i milanesi venissero percepiti nei secoli passati.
Tanto più che, nel Settecento, ritroviamo quasi sempre commenti consolidati, come nel caso della prosperità di Milano, ripresa dalla lunghissima testimonianza di Monsieur de Rogissart nelle sue Delices de l’Italie. Tra le poche voci fuori dal coro, invece, si segnala il Conte de Caylus, un nobile che faceva parte dell’Accademia francese di pittura e che nel suo Voyage d’Italie 1714-1715 stroncò la città sostenendo che era «costruita malissimo, irregolare nelle sue strade e pavimentata straordinariamente male: se si eccettuano le chiese e alcuni palazzi, Milano non meriterebbe alcuna curiosità».
Un parere negativo che anticipava quella falsissima immagine di Milano povera di risorse turistiche che la città si trascina pure oggi. Ma che creò un filone di pensiero ben rappresentato da Charles de Brosses, uno dei migliori interpreti del Grand Tour. Il quale, nel 1739, riprese la polemica sull’impossibilità a concludere il Duomo sostenendo: «Avete visto la bella stampa che raffigura questa facciata; conservatela come una cosa preziosa, giacché è tutto quanto ne esiste». E poi denigrò i castrati, i musicisti e il pubblico dell’opera, i palazzi («non sono né di buona architettura all’esterno, né ben ordinati all’interno»), le carrozze («dorate, ma anche tutte mal fabbricate») e persino la salita sulla Cattedrale, che di solito affascinava i turisti stranieri. Inoltre annotò «un mucchio di gente storpiata. Nelle strade non s’incontrano che guerci, zoppi, gozzuti», e una curiosa osservazione sulle donne che «capita spesso di vedere con uno o più uomini, tra i quali non figura il marito», tanto che «Milano mi sembra una città perfettamente attrezzata per un certo servizio. Non si può fare un passo nelle piazze senza imbattersi in sensali d’amore, gentilissimi, che sono sempre in grado di offrirvi la scelta, qualunque sia il colore o la nazione che vi piacciono».
Tuttavia Charles De Brosses ci ha anche regalato una serie di istantanee cittadine rimarchevoli, dalla Colonna Infame alla Ca’ Granda («il più bello degli edifici pubblici»), dal Castello all’Ambrosiana («l’ho sempre trovata, a differenza delle nostre, piena di gente intenta allo studio»), soffermandosi poi sulla contessa Clelia Borromeo («la quale non soltanto conosce tutte le scienze e le lingue d’Europa, ma parla arabo come il Corano») e sulla signora Agnesi, «che ha vent’anni, è una poliglotta ambulante e, non contenta di conoscere tutte le lingue orientali, si è anche messa in mente di sostenere tesi contro chicchessia su qualsivoglia scienza, a guisa di Pico della Mirandola».
L’800 venne inaugurato da Stendhal, il cui celebre rapporto d’amore con Milano meriterebbe un romanzo. Perciò vi invitiamo alla lettura di Rome, Naples et Florence, della Certosa di Parma, degli accenni contenuti nelle Memoires sur Napoleon o nel suo Journal. E ci limitiamo a due citazioni, una dedicata ai milanesi («Il popolo milanese riunisce in sé due cose che non ho mai visto insieme nella stessa misura: la sagacia e la bontà») e l’altra alle sue donne («In vita mia non ho visto una radunata di donne così belle; la loro bellezza costringe ad abbassare gli occhi»).
Nei primi anni del XIX secolo transitò da Milano pure René de Chateaubriand, che oltre a rimanere conquistato dalla bellezza della campagna lombarda, rinnovò l’accostamento tra Milano e la capitale francese. Proprio come la pittrice Elisabeth Vigée le Brun (celebre per il ritratto di Maria Antonietta), membro dell’Academie Royale de peinture, che così scrisse: «Nell’insieme Milano mi faceva spesso pensare a Parigi, sia per il lusso che vi si vede, sia per la popolazione».
Sullo stesso filone si inserì il critico d’arte Theopile Gautier che rimase colpito dalla città e soprattutto dal suo Duomo, dalle sue 6.716 statue (?) e dall’immenso panorama che ci si ammirava, tanto da definirlo «un ghiacciaio con i suoi mille aghi o una gigantesca stalattite; si fatica a credere che sia opera umana».
Dei toni non condivisi, in precedenza, da Balzac, che passò a Milano nel febbraio 1837 e si inserì nel filone dei critici. Nel quale, in tempi più recenti, troviamo Jean Giono, che nel suo Voyage en Italie del 1952 stroncò la nostra città d’agosto, dove «l’aria è pesante, la luce accecante, il Duomo è irritante con tutte le sue guglie… Do la mia parola che alle due del pomeriggio, quel giorno e nel mio stato d’animo, è il posto più spiacevole della terra».
Concludendo la sua requisitoria con «quel Duomo che non vale una caccola di coniglio»... Senz’altro assai discutibile, ma originale…
Autori e testi utilizzati:
M.E. de MONTAIGNE, “Journal du voyage en Italie par la Suisse et l’Allemagne en 1580 et 1581” (1774), da Montaigne. Viaggio in Italia, a cura di G. Piovene, Laterza 1991
P. D’AVITY, “Le mond ou la description generale de ses quatre parts” (1637), da Storia illustrata di Milano, a cura di F. Della Peruta, Elio Sellino 1992, vol. 5
F. MISSON, “Nouveau Voyage d’Italie” (1691), da Viaggiatori del Grand Tour, T.C.I., 1987
C. DE SECONDAT MONTESQUIEU, “Voyage en Italie” (1894-1896), da Viaggio in Italia, a cura di G. Macchia e M. Colesanti, Laterza 1995
DE ROGISSART-HAVARD, “Les delices de l’Italie, contenant une description exacte du pays” (1707), da Storia illustrata di Milano
A. C. P. DE TUBIERES COMPTE DE CAYLUS, “Voyage d’Italie 1714-1715” (1914), da Storia illustrata di Milano
P. J. GROSLEY, “Nouveau memoires ou observations sur l’Italie et sur les italiens par deux gentilshommes svedois, données en 1764” (1770), da Storia illustrata di Milano
C. DE SECONDAT MONTESQUIEU, “Cahiers”, da Storia illustrata di Milano
C. DE BROSSES, “Lettres familières écrites d’Italie en 1739 et 1740 (1799), da Viaggio in Italia. Lettere familiari, trad. di B. Schacherl, Laterza 1981
J. J. LE FRANCOIS DE LA LANDE, “Voyages d’un francois en Italie, fait dans les annéès 1765&1766” (1769), da Milano e l’Europa. Viaggiatori e memorie 1954-1986, a cura di A. Brilli, B. Popolare dell’Etruria e del Lazio 1995; da Storia illustrata di Milano; da Viaggio in Italia di A. Brilli, Banca Popolare di Milano 1987; da Milano di L. Gambi e M.C. Gozzoli, Laterza 1982
HENRY BEYLE STENDHAL, “Rome, Naples et Florence“ (1817), da Roma Napoli e Firenze. Viaggio in Italia da Milano a Reggio Calabria, a cura di C. Levi- B. Schacherl, Laterza 1990
F. RENE DE CHATEAUBRIAND, da Viaggio in Italia, trad. M. C. Marinelli, Passigli Editori 1990
E. VIGEE LE BRUN, “Souvenirs” (1835), da Itinerario nell’Arte. Lombardia di G. Cricco e F. Di Teodoro, Zanichelli 1999; da Ricordi dall’Italia, a cura di M. Premoli, Sellerio 1990
T. GAUTIER, “Voyage en Italie” (1852), da Images italiennes di L. Cuccu e C. Vairo, Ed. Il Capitello
J. GIONO, “Voyage en Italie” (1953), da Itinerario nell’arte. Lombardia di G. Cricco e F. Di Teodoro, Zanichelli 1999; da Viaggio in Italia, a cura di L. Baccolo e M. Dazzi, Fogola Ed. 1975