Usa, Russia, Gran Bretagna, Svezia e Italia, uniti contro la legalizzazione delle droghe, hanno posto un no in un documento firmato il 22 maggio scorso a Stoccolma. È quanto riporta, in una nota, il Dipartimento delle Politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Rafforzare gli sforzi per proteggere i bambini e i giovani dalla droga, prevenirne l'uso, interrompere il ciclo della dipendenza da droghe attraverso l'offerta di una varietà di trattamento e servizi sanitari a coloro che soffrono di disturbi da uso di sostanze stupefacenti mirando ad un recupero completo, interrompere il traffico e la produzione di droga e promuovere mezzi di sostentamento alternativi nelle aree di coltivazione illegale. Questi tra i principali punti contenuti nella “dichiarazione per una politica bilanciata e umana contro la droga”.
La dichiarazione - che ha visto come primi firmatari l'Italia, rappresentata da Giovanni Serpelloni capo del DPA, la cui delega è affidata al Ministro per la Cooperazione Internazionale e l'Integrazione Andrea Riccardi (foto), la Svezia rappresentata dal Ministro per i Minori e gli Anziani del Ministero della Salute e degli Affari Sociali svedese Maria Larsson, la federazione Russa, con Viktor P. Ivanov, direttore del Servizio Federale per il controllo del traffico degli stupefacenti, gli Stati Uniti con Gil Kerlikowske, direttore del Dipartimento Antidroga della Casa Bianca e il Regno Unito, nella persona di Gus Jaspert, vicedirettore del Ministero dell'Interno - è stata anche presentata dalla Svezia, conclude la nota, presso il Gruppo Orizzontale droga a Bruxelles nella sede del Consiglio dell'Unione Europea.
La dichiarazione, però, oltre a non fare nessuna differenziazione sulla tipologia di droghe, accorpando in tal modo sostanze definite come droghe leggere, come la cannabis, a sostanze che, in quanto droghe pesanti, possono avere un effetto devastante sul consumatore finale, non tiene minimamente conto, tra l’altro, dello scopo terapeutico che alcune droghe hanno per il trattamento di alcune malattie, come la sclerosi multipla.
Dal 1995 ad oggi, la possibilità di un confronto pragmatico ed equilibrato in Parlamento è stata resa vana dall’ostruzionismo manifestato dalle posizioni più estreme e proibizionistiche, seppure nel Paese il tema della legalizzazione dei derivati della cannabis indica che abbia acquisito consensi sempre più vasti.
Al di là di una impostazione ideologica, importanti riflessioni scientifiche e proposte concrete, hanno posto l’accento sulle esperienze e sulle scelte compiute in questi anni in Europa, sia sotto il profilo legislativo, sia in fase sperimentale. Nel corso degli anni Novanta non pochi sono stati i progressi compiuti dal dibattito nella società italiana e negli orientamenti dell’opinione pubblica.
Il successo, nel 1993, del referendum abrogativo delle norme penali del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, ha dimostrato che la scelta repressiva, ispiratrice di quel testo, deve lasciare spazio ad una visione più pragmatica che privilegi un approccio di riduzione del danno. Tale consapevolezza, tuttavia, non ha avuto un approdo legislativo coerente con i risultati del referendum.
Oggi la situazione è ancora più difficile perché la nuova legge approvata con un colpo di mano nel 2006, nonché la suddetta dichiarazione, oltre a rivendicare una svolta di 180 gradi nella politica sulle droghe in senso repressivo, cancellano la differenza tra le diverse sostanze, mettendo in una unica tabella droghe pesanti e droghe leggere.
Il risultato è che le carceri sono piene non solo di tossicodipendenti, ma anche di consumatori condannati per detenzione di pochi spinelli o per la coltivazione di una piantina di canapa.
Occorre far valere di nuovo, a distanza di molti anni dal referendum, la capacità pragmatica di valutare i termini effettivi, anche e in primo luogo sotto il profilo giuridico e legislativo, delle politiche di riduzione del danno.
Appelli sottoscritti da autorevoli esponenti della cultura, della società civile, del volontariato e da operatori delle strutture pubbliche, che vedono in prima linea i Radicali, affermano che la legalizzazione delle cosiddette “droghe leggere” è opportuna non solo perché la valutazione delle conseguenze connesse al loro consumo non dovrebbe interessare il diritto penale (se non nei casi in cui il consumo, appunto, nuocesse ad altri), ma anche perché l’uso della cannabis non viene vietato in quanto pericoloso, ma è pericoloso proprio in quanto vietato.
Nel corso di questi anni la logica penale ha aggravato e pesantemente condizionato la realtà del nostro Paese e reso ancora più difficile un diverso ed equilibrato approccio ai problemi delle tossicodipendenze, in generale, e alla realtà del consumo delle sostanze illegali.
I dati relativi alla sfera penale sono nel contempo drammatici e indicativi: in Italia come in Europa il 50 per cento dei detenuti è in carcere per reati connessi al consumo di sostanze stupefacenti.
L’Europa, con l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (OEDT), ha da tempo sollecitato i Paesi europei a misure positive di riduzione del danno, sulla base anche delle esperienze ormai diffuse e consolidate: dalla Svizzera all’Olanda, dalla Germania alla Spagna, dal Belgio al Portogallo.
Di contro in Italia l’approccio penale deprime e rende complesso il ruolo delle strutture pubbliche, come dimostrano i dati contenuti nelle relazioni annuali al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze, e limita la possibilità di attuazione di progetti sperimentali di riduzione del danno.
Recentemente l’associazione Forum Droghe ha curato l’edizione italiana del volume: Dopo la war on drug, un piano per la regolamentazione legale delle droghe, un testo elaborato dalla Fondazione inglese Transform impegnata da anni sul terreno della politica di riforma delle droghe.
Il lavoro presenta una serie di opzioni pratiche e concrete per la creazione di un sistema normativo globale per tutte le sostanze psicoattive ad uso non medico, tracciando chiaramente un percorso di superamento della proibizione definita dalle Convenzioni delle Nazioni Unite.
Sono molte le voci che ormai certificano il fallimento della war on drugs come testimonia il documento della Commissione latino-americana su droghe e democrazia, un organismo di esperti promosso dagli ex Presidenti Cardoso del Brasile, Gaviria della Colombia e Zedillo del Messico che chiedono un cambio di paradigma, nonché l’altro documento della Global Commission on drug policy presieduta da Kofi Annan.
Non va poi trascurato il costo fiscale del proibizionismo. Recenti contributi teorici sostengono la superiorità degli strumenti fiscali per contenere il consumo di droghe rispetto alla applicazione di una normativa proibizionista. In Italia il consumo di tabacchi ed alcolici è appunto scoraggiato tramite l’imposizione di una elevata tassazione. Uno studio del professor Marco Rossi dell’Università “La Sapienza” di Roma, stima le imposte ricavate sulla vendita della cannabis in 5,5 miliardi l’anno.
Sergio Stanzani
(da Notizie Radicali, 25 maggio 2012)