È il 1996 quando Wisława Szymborska, poetessa polacca del 1923, viene insignita del Premio Nobel per la Letteratura, assegnatole fra lo stupore dei più, che francamente la percepiscono in quel momento solo come un’illustre… sconosciuta. A distanza di dieci anni le cose sarebbero cambiate e la Szymborska avrebbe raggiunto un posto di tutto rispetto fra i più amati poeti contemporanei, per quanto la poesia possa dirsi interesse di nicchia. Di recente, infine, grazie anche alle letture di Roberto Saviano, suo ammiratore da sempre, e a recenti pubblicazioni il nome di questa autrice è sicuramente più noto. Ora che ci ha lasciati, all’età di ottantotto anni, nel febbraio 2012…
Ma a cosa si deve il suo meritato successo, sicuramente in ascesa? I critici sono concordi nell’affermare che la risposta si debba ricercare nella sua capacità di affrontare i temi più sentiti dall’umanità, attraverso una poetica semplice. Il tema di base è la quotidianità dell’esistere, in tutti i suoi aspetti, anche e soprattutto quelli apparentemente insignificanti: un quadro, un album di fotografie, il circo, un granello di sabbia, un panorama, un gatto solo in una casa… tutto diventa materia poetica, a partire da lì la Szymborska può creare la sua poesia e parlarci dell’amore, delle relazioni fra gli esseri umani, del caso e dei destini, della vita e della morte. Il suo “io” poetico è sempre “io”, uomo, e non è mai “io, Wisława”. Allo stesso modo spesso dirà che “non è il genere umano che bisogna amare, bensì gli uomini, ogni individuo separatamente”, un’asserzione che le avrebbe creato non poche accuse nel suo Paese comunista, e che l’avrebbe vista bersaglio di critiche agguerrite. La Szymborska sarà anche un’oppositrice del potere comunista e nel 1985 riceverà a tal proposito il Premio dell’Organizzazione Clandestina di Solidarnosc.
Una poetessa, quindi, solo a prima vista “facile”: sicuramente accessibile a tutti, per la sua volontà di esserlo. Di utilizzare una leggerezza espressiva che l’ha quindi premiata in termini di lettori, ma che a un più profondo livello rivela una rigorosa padronanza del lessico e della metrica – ci dicono i suoi critici – e un continuo e imprevedibile scaturire di senso. Il tutto con il valore aggiunto di una sottile ironia e di un’assoluta estraneità di toni di disperazione e amarezza, a cui la poesia a volte ci ha abituati.
Sempre, invece, in Wisława Szymborska emerge il miracolo del vivere, l’accettazione affettuosa e stupita della vita, a partire dalle sue forme più semplici, ed è, questo stupore, ciò che ripristina il contatto fra il quotidiano e l’assoluto.
Al lettore la poetessa non fornisce risposte perché le domande ben fatte lasciano solo il posto a ulteriori domande; la sua poesia ci parla in modo aperto e dubbioso, così da proporre nuovi spazi di riflessione. Benché si debba vivere in un mondo apparentemente governato dal caos, nel poeta - amava dire la Szymborska - alla disperazione si accompagna l’incanto. Quell’incanto che, a saperlo cogliere, può rendere più lieve la vita stessa.
Suggerisco tre poesie per accostarsi a quanto scritto: nella prima “Il gatto in un appartamento vuoto”, composto dalla poetessa nel 1990, dopo la morte del suo compagno cui era legata dal 1967, ci viene proposto un delicato esempio di come la Szymborska sappia accostarsi ad un tema tanto profondo e determinante, in un modo originale e dolce. La seconda poesia è “Nella moltitudine”, dove si celebra l’unicità di ogni essere umano e dove la poetessa si mette a nudo, si può dire in un solo verso, rivendicando quanto lo stupore sia ciò che la anima e costituisca di lei la sua essenza più profonda. Per finire, una poesia che in pochi tratti, grazie a fermo-immagini commoventi, ci racconta l’11 settembre. Anche qui il finale lascia sbalorditi: Wislawa Szymborska coglie la tragicità di un evento, ma riesce ancora una volta a lasciar parlare la vita e addirittura a interrompersi, per senso di rispetto e dignitoso silenzio, di fronte alla più sconvolgente delle morti.
Annagloria Del Piano
IL GATTO IN UN APPARTAMENTO VUOTO
Morire – questo a un gatto non si fa.
Perché cosa può fare il gatto
in un appartamento vuoto?
Arrampicarsi sulle pareti.
Strofinarsi tra i mobili.
Qui niente sembra cambiato,
eppure tutto è mutato.
Niente sembra spostato,
eppure tutto è fuori posto.
E la sera la lampada non brilla più.
Si sentono passi sulle scale,
ma non sono quelli.
Anche la mano che mette il pesce nel piattino
non è quella di prima.
Qualcosa qui non comincia
alla sua solita ora
Qualcosa qui non accade
come dovrebbe.
Qui c'era qualcuno, c’era,
poi d'un tratto è scomparso
e si ostina a non esserci.
In ogni armadio si è guardato.
Sui ripiani si è corso.
Sotto il tappeto si è controllato.
Si è persino infranto il divieto
di sparpagliare le carte.
Che altro si può fare.
Aspettare e dormire.
Che lui provi solo a tornare,
che si faccia vedere.
Imparerà allora
che con un gatto così non si fa.
Gli si andrà incontro
come se proprio non se ne avesse voglia,
pian pianino,
su zampe molto offese.
E all’inizio niente salti né squittii.
NELLA MOLTITUDINE
Sono quella che sono.
Un caso inconcepibile
come ogni caso.
In fondo avrei potuto avere
altri antenati,
e così avrei preso il volo
da un altro nido,
così da sotto un altro tronco
sarei strisciata fuori in squame.
Nel guardaroba della natura
c'è un mucchio di costumi:
ragno, gabbiano, topo di campagna.
Ognuno va subito a pennello
ed è portato docilmente
finché si consuma.
Anch'io non ho scelto,
ma non mi lamento.
Potevo essere qualcuno
molto meno a parte.
Qualcuno d'un formicaio, banco, sciame ronzante,
una scheggia di paesaggio sbattuta dal vento.
Qualcuno molto meno fortunato,
allevato per farne una pelliccia,
per il pranzo della festa,
qualcosa che nuota sotto un vetrino.
Un albero conficcato nella terra,
a cui si avvicina un incendio.
Un filo d'erba calpestato
dal corso di incomprensibili eventi.
Uno nato sotto una cattiva stella,
buona per altri.
E se nella gente destassi spavento,
o solo avversione,
o solo pietà?
Se al mondo fossi venuta
nella tribù sbagliata
e avessi tutte le strade precluse?
La sorte, finora,
mi è stata benigna.
Poteva non essermi dato
il ricordo dei momenti lieti.
Poteva essermi tolta
l'inclinazione a confrontare.
Potevo essere me stessa - ma senza stupore,
e ciò vorrebbe dire
qualcuno di totalmente diverso.
FOTOGRAFIA DELL’11 SETTEMBRE
Sono saltati giù dai piani in fiamme -
uno, due, ancora qualcuno
sopra, sotto.
La fotografia li ha fissati vivi,
e ora li conserva
sopra la terra verso la terra.
Ognuno è ancora un tutto
con il proprio viso
e il sangue ben nascosto.
C’è abbastanza tempo
perché si scompiglino i capelli
e dalle tasche cadano
gli spiccioli, le chiavi.
Restano ancora nella sfera dell’aria,
nell’ambito di luoghi
che si sono appena aperti.
Solo due cose posso fare per loro –
descrivere quel volo
e non aggiungere l’ultima frase.
Wisława Szymborska
LA GIOIA DI SCRIVERE
Tutte le poesie (1945-2009)
Gli Adelphi, 2009, pagg. 760, € 19,00