Ci sono molti modi1 per procurarsi dei libri fuori catalogo. Il più divertente, a mio avviso, è di certo quello di girare le bancarelle dei mercatini o delle piccole fiere del libro che, di tanto in tanto, popolano le città. Penso che ogni “buon” lettore abbia seguito almeno una volta nella vita questo metodo. Passeggiando di bancarella in bancarella, sfogliando pagine su pagine, annusando la polvere salata che si deposita sui libri, si ha come l'impressione di creare un nuovo contatto. Di partecipare a una sorta di metempsicosi editoriale dove la pagina2 rivive una volta e una volta ancora, sprigionando tutta la sua forza. Una forza, però, che nasce dall'assenza, non dalla visione in sé. Spesso, infatti, vedere pile e pile di libri ammassati l'uno sull'altro comunica, oltre alla cupidigia di possesso e a quel piacere vintage che certe edizioni sanno donare,3 una certa malinconia. Si soffre un bel po' a vederli, diciamolo senza remore. Perché un Proust abbandonato a se stesso, magari mancante di un paio di volumi, commuove anche il più duro dei lettori. Questo metodo errante ha non pochi inconvenienti: basandosi solo sul caso e la fortuna, fa sì che non ci siano mai certezze, piuttosto scoperte. Andare a colpo sicuro con il metodo “bancarella” è pressoché impossibile. Questa è, allo stesso tempo, la sua bellezza e il suo limite.
Nell'aprile del 2009 se n'è andato lo scrittore goriziano Filippo Betto. Ha trovato un addio silenzioso, antitetico rispetto alla sua scrittura, spesso paragonabile a un rave-party sfrenato.4 Un infarto lo porta via mentre era seduto sulla scrivania di casa. Una vita difficile, agra, inquieta. Da viaggiatore. Negli ultimi anni della sua vita è stato il compagno di quello che, nemmeno troppo timidamente, può essere definito il suo “talent scout”: Pier Vittorio Tondelli. Nel libro d'esordio di Betto, Certi giorni sono migliori di altri giorni, c'è un racconto struggente,5 in cui uno scrittore morente si abbandona a riflessioni sulla vita, sul concetto di fine, sulle sofferenze della sua condizione clinica e, perché no, sulle infinite cose che sa di lasciare ma che, allo stesso tempo, ricorda con affetto. Con passione vorace, al sapore di Campari. I lettori di Tondelli leggono nelle pagine di questo racconto una sorta di testamento dello scrittore correggese. La malattia, la descrizione delle sofferenze carnali, il lessico usato dallo stesso Betto, sembrano esser stati strappati da libri tondelliani come Altri libertini o Pao Pao, e proiettati direttamente nelle pagine di quel libro dalla bizzarra copertina blu con l'immagine di un sub.
Certi giorni sono migliori di altri giorni6 è fuori catalogo da almeno un decennio. Me lo comunicò un responsabile marketing della Marcos y Marcos contattato via email un paio d'anni fa. Aveva aggiunto, però, che forse ne aveva ancora delle copie in magazzino e che, se fossi stato interessato, me ne avrebbe potuto spedire una. Il giorno successivo (sempre via email) ricevetti conferma della presenza del libro di Betto nel magazzino dei libri perduti della Marcos y Marcos. Le spese di spedizione da Milano mi sarebbero costate quasi come metà libro quindi, sollecitato dal responsabile marketing (di nuovo per via telematica), decisi di aggiungere un nuovo libro all'ordine. Iniziò così il secondo giro di email, con verifica del catalogo, controllo della presenza in magazzino del secondo libro su cui avevo messo gli occhi, conferma, preventivo e via discorrendo. La scelta cadde sui Sogni di Bunker Hill di John Fante. Il metodo “contatto diretto tramite email” è forse il più funzionale,7 ma di certo il meno romantico. In meno di una settimana il pacco marrone contente i due libri era sotto casa mia. Senza un filo di polvere.
Nella prefazione a Sogni di Bunker Hill Pier Vittorio Tondelli dice di John Fante: «Fante non chiede alla società di essere all'altezza dei propri desideri, perché è nella bassezza che egli sguazza. Chiede solamente di poter scrivere. Quindi di poter vivere». Ciò che sottolinea Tondelli nella figura di Fante è il suo voler ribaltare il comune rapporto autobiografia-scrittura, portandolo a una sorta di indistinto in cui i due termini di riflessione sono così fusi su se stessi da risultare inestricabili. Non si tratta più di cercare quanto di John Fante ci sia all'interno dei suoi romanzi, bensì di accettare il processo di scrittura e indagine che porta alla nascita degli stessi. Tondelli spiega chiaramente tutto ciò con un'immagine molto felice. Quella di un moto circolare che, in assenza di scrittura, si arresta: «Non è un caso se la sconfitta di Bandini8 come individuo si ha quando non gli è permesso, per un motivo o per l'altro, di scrivere. Il circuito che dalla vita porta all'arte e dall'arte al desiderio di vita, si interrompe. C'è una dispersione di energia che provoca infelicità». In assenza di scrittura non c'è vita. O meglio, non c'è desiderio di vita. Filippo Betto se ne va davanti a una scrivania, intento con ogni probabilità a scrivere. A volte è la vita a fuggire, non il desiderio.
Cos'è l'assenza di scrittura? Ritorniamo a John Fante, potrebbe aiutarci a capire. Dopo l'iniziale successo della saga di Arturo Bandini (a quei tempi era ancora una trilogia), Fante scompare dalla scena letteraria americana per quasi tre decenni. Aveva smesso di scrivere? Assolutamente no. Anzi, forse durante quei tre decenni d'assenza non aveva mai scritto tanto. Il successo di Chiedi alla polvere e la sua italica testardaggine lo avevano infatti portato ad Hollywood, dove lavorò come sceneggiatore per alcune tra le più importanti case di produzione cinematografica del tempo. Dialoghi, lacerti di conversazione, sceneggiature di western di quart'ordine. Per trent'anni Fante scrisse quasi solo questo. E si arricchì, come mai la sua carriera di romanziere gli avrebbe permesso di fare. Questa scelta rese John Fante un uomo felice? La risposta non è così immediata, e i Sogni di Bunker Hill ce lo dimostrano ampiamente. L'assenza di scrittura è per Fante l'impossibilità di scrivere ciò che è. La sua vita, il suo desiderio di aggredirla, di morderla. Il contatto continuo con il sogno americano, gli spazi ai margini, le arance come unica fonte di sostentamento, i gangli più fragili e periclitanti della società, tutte queste tematiche scompaiono dalla sua narrativa perché Fante non è più affossato in trincea a viverle. Hollywood lo prosciuga di sogni, rimpinguandogli soltanto il conto in banca. Arrivato alla fine del percorso per il raggiungimento del sogno americano, Fante può ben dire di non stringere nulla tra le mani. Nemmeno la polvere di cui tanto ha raccontato! La sua scrittura si è bloccata per mancanza di “carburante”, non per un granello nell'ingranaggio. In questo caso è il desiderio ad aver bloccato il processo.
Un caro amico di Tondelli9 mi disse un giorno di aver sempre avuto l'impressione che il racconto Certi giorni sono migliori di altri giorni di Betto gli fosse stato “dettato” dallo stesso Tondelli, tanto lo stile e il lessico utilizzati erano vicini a quelli tondelliani. Dato che né Tondelli né Betto possono più confermarlo, mi limito a suggerire la mia idea, ovvero quella di un Betto che, in omaggio al compagno, gli dedica un racconto “calcandone” lo stile. In un'esperienza mimetica tanto struggente quanto estrema. In Certi giorni sono migliori di altri giorni la morte aleggia nell'aria fin dalla prima riga, eppure Betto non ci regala un racconto triste o un ritratto gonfio di pathos. C'è la forza del ricordo, in quelle pagine. Ed è una forza viva che, come per le bancarelle gonfie di libri, nasce dall'assenza. La morte che arriva dà la carica per gettare in faccia al lettore quanta più vita possibile. Full of life,10 come direbbe John Fante.
Già, John Fante... Sogni di Bunker Hill è stato dettato nel 1982 da Fante alla moglie Joyce Smart. Cieco, costretto a letto, le gambe amputate a causa del diabete, Fante detta alla moglie il suo percorso alla ricerca del sogno americano. La sua stanzetta di Buker Hill, i primi passi come sceneggiatore, le conseguenti delusioni, gli incontri ironici ed esilaranti con un lottatore di wrestling, i maldestri corteggiamenti, il ricordo della sua bizzarra famiglia lasciata in Colorado. C'è tutto questo nelle pagine dei Sogni di Bunker Hill, ed è tutto risolto con una scrittura veloce, a quadri “cinematografici”, dialoghi taglienti, immagini successive. Descrizioni che, spesso, sanno di piani sequenza. Ingabbiato in un corpo pressoché privo di terminazioni, Fante si abbandona alle sole rimastegli: la voce e il ricordo. E, come notava Tondelli, riesce nuovamente a far partire il meccanismo della sua scrittura. Recuperato il carburante, la macchina ritorna di nuovo a pieno regime. E ci sembra quasi di immaginarcelo, John Fante, mentre detta alla moglie, seduta al suo capezzale, frammenti di vita vissuta e incontri improponibili. Lo vediamo ridere delle disavventure di Arturo Bandini, del famigerato Dago Red11 e della fame malvagia che lo costringeva ad aspettar primavera. Ridere felice, però, di un tempo perduto che è diventato ritrovato. E poco importa se certi volumi sono mancanti. Poco importa se Hollywood gli ha ingurgitato trent'anni di vita. Il sapore della polvere non è mai stato così piacevole.
I cavalli vincenti, come direbbe Bukowski,12 si vedono all'arrivo. Sul rettilineo finale. Quando la polvere si alza, anzi, è già alta, e la confusione è tanta. Con gli scommettitori sugli spalti che urlano, sventagliando le ricevute delle puntate. L'adrenalina in circolo, la testa pesante, i secondi che si fanno eterni. Perché, al taglio del traguardo, soltanto chi ha dato davvero tutto può portarsi a casa l'intera posta in gioco. Si chiami Filippo Betto, Pier Vittorio Tondelli o, per l'appunto, John Fante.
Andrea Gratton