L’Avana, 30 settembre 2011 – Sfilano sole o in piccoli gruppi, partendo dalle loro case o da una chiesa, di solito verso un’altra chiesa o un luogo aperto e pubblico. Sfilano e si fermano in silenzio, con un fiore in mano o con le mani vuote, vestite di bianco, di nero o con altri colori. Certe volte le loro marce terminano senza incidenti. In alcuni casi esibiscono cartelli, sempre in silenzio, per comunicare messaggi di libertà. Sono controllate e seguite dalla Sicurezza di Stato, la polizia le segue da vicino. Il popolo le vede, la gente commenta, molti si stupiscono, alcuni mostrano una certa simpatia. Tutti sanno che serve molto coraggio per fare questo, perché i cubani sanno che rompere la spirale di paura è la sfida più grande nei confronti di un potere che si sostiene con il terrore, diffuso per oltre mezzo secolo.
Sfilano all’Avana, Santiago de Cuba, Palma Soriano, Banes, in altri paesi e città. Ma in certi casi gruppi di professionisti di stile fascista-comunista non le lasciano neppure uscire di casa.
La propaganda governativa presenta queste dimostrazioni come provocazioni. Siamo seri. È forse una provocazione se uno schiavo dice al suo padrone: “Voglio essere libero”? Si può parlare di provocazione se una persona si comporta da uomo libero? La risposta è retorica. Certi comportamenti provocano ira, sconcerto e persino brutali rappresaglie da parte dello schiavista. Chi afferma che le marce di queste donne sono una provocazione si mette sullo stesso piano degli schiavisti. Le Damas de Blanco esercitano soltanto un loro diritto, considerato universale da tutti gli esseri umani. Queste donne si comportano coraggiosamente e mandano un segnale pacifico al popolo. Il Governo, invece, reprime brutalmente le loro marce e trasforma l’esercizio di un diritto in uno scandalo pubblico.
Sara Martha Fonseca è una di queste donne che con le loro azioni serene, civiche e pacifiche, costringono molte persone a pensare. Sara è detenuta e - secondo informazioni non confermate - sta facendo uno sciopero della fame per protestare contro questo arresto ingiustificato. Corre il pericolo di essere condannata, solo per aver osato esprimersi liberamente partecipando a una marcia pacifica.
Al tempo stesso, Rosa María Rodríguez Gil, attivista del Movimento Cristiano di Liberazione, è stata punita dalla Sicurezza di Stato con la reclusione del figlio, solo per aver rifiutato di parlare durante un interrogatorio. Yosvany Melchor Rodríguez non è un dissidente, ma è in carcere dal 22 marzo del 2010, per rappresaglia nei confronti della madre, e il 30 novembre di quest’anno è stato condannato a scontare dodici anni di prigione. Anche se di Yosvany sono in pochi a parlare sulla stampa e nei blog, a quanto ci risulta nessuno è stato condannato per motivi politici a una pena così alta dopo l’incarceramento dei 75 dissidenti durante la Primavera Nera. Chiediamo solidarietà nei confronti di questa donna, che vede punito il suo coraggio con la detenzione ingiustificata del figlio.
Oswaldo Payá Sardiñas
Traduzione di Gordiano Lupi
(da Oswaldo Payá, 30 settembre 2011)