Crepuscolo/ ha odore di prato,/ canto di uccelli migranti,/ sapore di pane,/ orizzonte di onde,
dalla poesia "Pandora" di Luigi Maffezzoli
In un'epoca di riflusso, egoismo, ipocrisia, dominata da caste e lobbisti, dove il presente è incertezza, il futuro una porta chiusa e il passato qualcosa da rimuovere o revisionare; in un'era in cui il denaro è marcio valore, la ricchezza è distribuita con somma iniquità, l'ideale è da sbeffeggiare e la realpolitik con il suo presunto pragmatismo avalla ogni sorta di ingiustizie sociali, in cui il lavoro vale meno della virtualità, regno, quest'ultima, degli imbrogli della finanza mondiale che distrugge economie e vite; in un tempo fatto di facce politiche sconcertanti, screditate, corrotte e meschine, di malaffare e di oppressione di individui e genti contro ogni logica evolutiva di democrazia partecipata... ben venga il lavoro di poeti e scrittori come Luigi Maffezzoli, milanese nato casualmente a Berna. Di lui nella circostanza vorrei citare il racconto lungo Compagno Belzebù, uscito per i tipi degli Editori della Peste un paio d'anni or sono, ma estremamente attuale, inserendosi in una produzione che sa spaziare con eguale valentia fra versi e prosa.
Dalla quarta di copertina: «Aveva un pizzetto appuntito, ormai più grigio che nero, delle sopracciglia profonde due dita, capelli lunghi arruffati. Il soprannome, che da tempo era diventato il vero nome, dipendeva certo da quell'aspetto. Quanto al compagno era l'ultimo retaggio di una giovinezza avventurosa, prima in Italia, nei movimenti post sessantottini e poi in America Latina e negli Stati Uniti alla ricerca degli ultimi indiani». Ce n'è quanto basta per accendere la fantasia, per innescare la curiosità.
Musica country in sottofondo, piove su Milano, piove sulle nostre vite, piovono ricordi e rimorsi, rabbia e rimpianti. Che resta delle nostre speranze, dell'impegno, della solidarietà, della voglia di cambiare il mondo? Perché si è ingoiati dal gorgo della violenza? La violenza istituzionale, la ribellione che degenera, gli errori del sistema, tutti come pedine del caso in un'incomprensibile scacchiera.
Gli indiani metropolitani e l'allegria della rivoluzione, l'idea che una rivoluzione possa essere gentile e creativa. Gli autonomi. Ribellione. La degenerazione dei gesti. Sono caduti i fiori e hanno lasciato solo simboli di morte (Canzone delle osterie di fuori porta, Francesco Guccini). L'oblio. Tradimenti e ancora violenza. Abbandoni. Eppure una tenerezza invincibile che cerca di dare un senso a questi giorni osceni.
Una storia breve, semplice e insieme complessa, ironica, crudele e delicata, un modo di tornare a quegli eventi che hanno marchiato la generazione dei cinquantenni-sessantenni, di esplorarne il lascito “politico” e sentimentale, confrontandolo con il vuoto e il vacuo che sono nell'oggi insieme con la dimenticanza dei propri diritti e l'incapacità, la non voglia, di battersi per il progresso e la felicità. A proposito, qual è il Paese che ha sostituito il concetto di PIL con quello di PIF, Prodotto Interno della Felicità? Un sogno, una grande idea.
Cantava De André: Voi non potete fermare il vento/ gli fate solo perdere tempo...
Alberto Figliolia