C’è qualcosa di abnorme, in quello che accade. Una settimana fa il settimanale di casa Berlusconi ci raccontava di “un attacco al premier”. L’ipotesi: estorsione, ai danni di Silvio Berlusconi, con la regia di «due chiacchierati personaggi. La procura di Napoli indaga da mesi su una strana vicenda in cui la persona offesa (il Cavaliere) sostiene di non aver subito alcun reato, ma rischia comunque di finire nel tritacarne mediatico a causa delle intercettazioni».
Un articolo più che completo, informatissimo, quello di Panorama: si racconta tutto quello che oggi, in seguito all’arresto dei coniugi Tarantini (mentre Valter Lavitola è al momento latitante), troviamo pubblicato sui giornali. La procura di Napoli, nel motivare il provvedimento, ha tra l’altro fatto cenno a fuga di notizie tali da poter forse pregiudicare l’inchiesta. Sette giorni dopo… Mah!
Nel documentato articolo di Panorama c’è anche lo sfogo che fa tanto “notizia”. A pagina 60 si legge: «Berlusconi sbotta, dice che i giudici possono fare quello che vogliono, e quindi anche ascoltarlo e spiarlo, ma che sarà impossibile trovare qualcosa di non pulito sul suo conto. Poi si lascia andare a uno sfogo, simile a quelli descritti nei mesi scorsi dai cronisti parlamentari specializzati in retroscena, su un sistema che lo ha nauseato, al punto di pensare di mollare tutto e lasciare l’Italia…». Certo, non si riferisce letteralmente l’espressione relativa al “paese di merda”, ma la sostanza c’è. Per ricapitolare: i magistrati tengono sotto controllo Lavitola; Berlusconi presumibilmente sa, o almeno intuisce, che Lavitola è controllato, e tuttavia questo non gli impedisce di parlare (o forse per questo, parla?); qualcuno fornisce al settimanale di casa Arcore le informazioni relative a quello e ad altri controlli su cui poggia l’inchiesta. I magistrati napoletani ipotizzano un’estorsione, e solo dopo una settimana dalla divulgazione del contenuto dell’inchiesta, ordinano gli arresti dei presunti estortori; il presunto estorto non denuncia l’estorsione, anzi la nega; e sostiene che ha versato sì del denaro, ma per aiutare una persona bisognosa: «Non ho fatto nulla di illecito, mi sono limitato ad assistere un uomo disperato, non chiedendo nulla in cambio. Sono fatto così e nulla muterà il mio modo di essere…». Georges Feydeau non avrebbe saputo immaginare di meglio.
Ad ogni modo, a parte l’ovvia e perfino banale considerazione che un presidente del Consiglio, per quanto fuori dai gangheri, non si esprime in questi termini nei confronti del paese che bene o male rappresenta, e dunque dovrebbe innanzitutto chiedere scusa a tutti; Berlusconi dovrebbe chiedersi quale sia la quota di sua responsabilità, nell’aver reso il paese quella merda che sostiene sia, visto che lo (s)governa da anni.
Il commento più caustico in queste ore è forse quello dell’ex presidente della Camera e leader dell’UdC Pierferdinando Casini: «Berlusconi è riuscito in una grande operazione: mettere tutti d’accordo su un fatto: che il governo non c’è». Non c’è, ma c’è.
Dicono che Berlusconi sia molto irritato con il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, e questa ormai non è più una notizia; e che il suo umor nero raggiunga il diapason a sentire altri due nomi, quelli del ministro del Lavoro Maurizio Sacconi e del ministro per la semplificazione normativa Roberto Calderoli. I “tre amigos” durante il vertice ad Arcore sono stati i più strenui partigiani dell’intervento sulla previdenza che poi ha fatto scoppiare il pandemonio. Sacconi aveva assicurato: «Si può fare. I sindacati sono divisi. Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti (ndr: i segretari di CISL e UIL) hanno dato il loro placet. Li ho sentiti, sono d’accordo». Si è poi visto.
Tremonti poi, secondo i sospetti e le congetture del Cavaliere e dei suoi fedelissimi, starebbe facendo quello che definiscono “un gioco allo sfascio”. In sostanza lavorerebbe alla demolizione scientifica e sistematica della manovra, in modo da costringere la Lega a staccare la spina. La solita Daniela Santanché si è subito incaricata di dettare la linea, e ha subito detto che, comunque vadano le cose, Tremonti ha troppo potere, e il suo ministero andrebbe “spacchettato”. È comunque un fatto che la Lega appare attraversata da tensioni e malumori. Il federalismo fiscale e le altre riforme federaliste non hanno portato alcun beneficio alla Lega, costretta a fare i conti con un vistoso calo di consenso. Il bilancio, ragionano gli uomini del Carroccio, è tutto in negativo: nessun beneficio elettorale, riforma delle aliquote che non verrà mai fatta, proposte che sono come fuochi d’artificio senza alcuna pratica conseguenza (i ministeri al Nord, la super-tassa ai calciatori, la fantomatica tassa per gli evasori fiscali, le altre trovate “calderoliane”). E dunque anche tra la Lega si fa sempre più strada l’idea che la cosa migliore sia quella di far saltare il banco, nel tentativo di sganciare i propri destini politici da quelli di Berlusconi. Disegno comunque fragile: se Tremonti si propone come possibile garante, un po’ politico, un po’ tecnocrate, deve comunque fare i conti con il fatto che all’interno del PdL è poco o nulla amato; e che su di lui incombe la decisione che l’Aula dovrà prendere, tra un paio di settimane, sul caso di Marco Milanese, l’ex collaboratore a cui versava denaro in nero per l’affitto della casa romana.
Come sia, Berlusconi – che qualche giorno fa aveva confessato di avere il cuore grondante sangue per essere costretto a mettere le mani nelle tasche degli italiani, contraddicendo quello che era stata la sua solenne promessa elettorale – gongolante, successivamente, aveva comunicato di aver trovato la quadra, e dunque nonostante la manovra lacrime e sangue, aveva mantenuto la promessa di non inasprire le tasse; ma ora è costretto a nuovamente smentirsi: per ora salta il contributo chissà perché chiamato “di solidarietà” sui redditi più alti, ma il maxi-emendamento reintroduce il prelievo sugli stipendi dei pubblici dipendenti e sulle pensioni d’oro. E per questo monta l’irritazione del Cavaliere anche nei confronti di Umberto Bossi, per il suo continuo mettere i bastoni tra le ruote. Il fatto è che il Carroccio al suo interno è diviso in due fazioni: da una parte lo stesso Bossi, più “morbido” e disponibile a intese; dall’altra il ministro dell’Interno Roberto Maroni, sempre più convinto che ormai si sia spremuto tutto lo spremibile dall’attuale Governo, e che non sia più opportuno continuare. Così i “falchi” del PdL e della Lega apertamente parlano di elezioni anticipate ormai ineluttabili. La Lega deve fare i conti anche con i suoi amministratori sul territorio, che vedono gli annunciati tagli agli enti locali come fumo negli occhi. E qui si ripropone una contrapposizione ormai storica: da una parte Calderoli, dall’altra Maroni; entrambi coltivano il sogno-ambizione di sostituire l’ormai settantenne e logoro Bossi alla guida della Lega, e una delle partite si gioca proprio sul fronte della difesa degli enti locali. E da oltretevere arriva l’ennesima bordata: «Si procede a tentoni, senza un orizzonte che faccia comprendere ai cittadini-contribuenti che si sta operando nell’interesse superiore del paese, con lo sguardo volto alle nuove generazioni». Giudizio severissimo, bordata targata SIR, l’agenzia dei vescovi italiani; la CEI non è la segreteria di Stato, e non c’è cosa che non farebbe Angelo Bagnasco pur di procurare un dispiacere a Tarcisio Bertone (e vice-versa, ovviamente); ma è comunque un fatto che la CEI ha lanciato strali che fino a ieri erano appannaggio del settimanale dei paolini Famiglia Cristiana.
L’opposizione avrebbe solo da guadagnarci, senza quasi muovere un dito. È sufficiente sedersi in riva al fiume e attendere che passi il cadavere. Ma la situazione è abnorme anche perché l’opposizione è divisa, alle prese con questioni che si chiamano caso Penati e presunte tangenti dell’ex area Falk; referendum sulla legge elettorale, demagogie dell’Italia dei Valori; bluff sempre più evidente di nome Nichi Vendola… per non dire dei “centristi” di Casini, Francesco Rutelli e Gianfranco Fini: si agitano molto, parlano parecchio, realizzano poco o niente. In un angolo scalda i suoi muscoli Romano Prodi, ma lui non è interessato a palazzo Chigi. Semmai punta al Quirinale, quando scadrà il mandato di Giorgio Napolitano. Ma, si dice, anche Casini sogna la stessa poltrona, e per averla sarebbe disposto ad aiutare il segretario del PdL Angelino Alfano a scalare palazzo Chigi. Per poterlo fare, però, sia Berlusconi che Bossi dovrebbero uscire di scena… Un bel ribaltone, scenari estivi da ombrellone? Ma intanto l’estate sta finendo; e i quarantenni scalpitano, sia quelli di maggioranza che quelli di opposizione. Il paese va a ramengo. Niente di quello che andrebbe fatto si fa. Sì, se da “questo paese di merda” finalmente, se ne andassero non solo Berlusconi ma anche tutti gli altri, forse una possibilità o due ancora ci sarebbe…
Valter Vecellio
(da Notizie Radicali, 2 settembre 2011)