Essere un mito, non è una vita facile; essere Vasco Rossi, poi, l’idolo di milioni di persone, fare centomila spettatori ai concerti, essere ascoltato e ripreso ad ogni singola parola che si dice, non poter fare un passo senza essere fotografato, registrato, e magari, spesso, anche frainteso e malinteso, è un destino a doppia faccia, come tutti i destini, del resto.
Nelle ultime settimane Vasco ha abituato i suoi due milioni e quasi mezzo di fan su facebook alla somministrazione di “clippini” quasi quotidiani, piccoli video di pochi minuti dove il “mostro sacro” si mostra, nella sua quotidianità, nei piaceri e nei dolori di tutti i giorni; il giorno di ferragosto ci ha fatto vedere, schiudendo la finestra, il gruppone di fans che stazionano sotto casa sua, alzando un velo sulla privazione di privacy che vive; certo, tutti urlano che lo amano, ma metti che volesse farsi un giretto in giardino, o una passeggiata serale, come fa?
Vasco Rossi ha sempre affrontato il tema delle droghe, nelle sue canzoni; musica leggera, sì, ma pur sempre una forma di arte, una forma poetica che ha sostituito, nella formazione di molti giovani, lo studio dei poeti e della letteratura. Dal “coca casa e chiesa …” del 1983, ma già in “Fegato spappolato” del 1979, fino al quell’“oggi voglio stare spento”, che sembrava proprio contraltare la terroristica campagna “Chi si droga si spegne”, l’interesse artistico per il tema si è manifestato, fra le righe, in molte canzoni, e la “vita spericolata” è diventata una comune definizione per un certo stile di vita.
Abbiamo sempre saputo che Vasco Rossi era un radicale, almeno, noi radicali l’abbiamo sempre saputo, perché ogni anno fa la tessera, e per qualche dichiarazione che ogni tanto ha rilasciato, fra le quali la più famosa rimane “Pannella è il mio alter ego politico”. Ma da qui ad immaginare che il nuovo Vasco Rossi, non più rock star, si sarebbe impegnato in una nuova vita su facebook, citando e riprendendo le parole dell’antiproibizionismo radicale, ce ne correva, però, ed è stata una gran bella sorpresa.
Già il 2 luglio il cantante, e cantautore, aveva lanciato un sondaggio su fb, chiedendo: “Chi sostiene il 'proibizionismo' difende gli interessi della malavita!”, collezionando 4.819 “sì”. Poi, il 22 luglio, la costola rotta, l’apprensione dei fans, le dichiarazioni contraddittorie della stampa; e, il 5 agosto, la confessione pubblica: «Assumo (da tempo) un cocktail di antidepressivi, psicofarmaci, ansiolitici, vitamine e altro, studiato da una équipe di medici, che mi mantiene in questo “equilibrio” accettabile…» Rotto il ghiaccio, le esternazioni confidenziali via web si moltiplicano, e il 14 agosto Vasco decide di prendere in esame i test antidroga. E qui si esprime pienamente da liberale e da radicale: fermare un cittadino e sottoporlo ai test, in assenza di comportamenti che giustifichino un simile controllo, vuol dire che «…in nome della “prevenzione” e col motto “così salviamo delle vite”, i cittadini vengono trattati senza alcun rispetto, come dei sudditi; trattati come incoscienti, come mino-renni …e mino-rati!». Lo stesso concetto espresso dai radicali antiproibizionisti da diversi anni: con la scusa della sicurezza stradale si persegue un controllo sempre più accanito sugli usi e consumi dei cittadini, in particolare quando si pretende il test antidroga per chi va a prendere la patente (ché a prendere la patente non si va certo guidando), quando si fermano cittadini che stanno guidando nel pieno rispetto delle regole e del codice, quando, come nel caso dei cannabinoidi, il test rileva l’uso precedente, anche di settimane prima.
Subito dopo, lo stesso giorno, Vasco linka, sul suo profilo, un comunicato e un articolo, a firma mia, uno sulle dichiarazioni di Giovanardi, che, a Isernia, oltre a dare come sempre dei dati inesatti, aveva affermato “chi si fa una canna è uno sfigato”, comunicato dal titolo “Meglio sfigati che Giovanardi”, e un articolo sul rapporto della Global Commission, “La guerra alla droga non è stata, e non può essere, vinta”, accompagnando il link con le parole «chi sostiene il proibizionismo, sostiene (di fatto) gli interesse della mafia e della malavita».
Parole sante, piene di verità, nonostante le insoddisfacenti repliche del mondo proibizionista, Giovanardi e Gasparri in testa: l’industria del narcotraffico offre alle mafie guadagni per 285 miliardi di euro, secondo le stime fatte dall’ONU nel 2005, una cifra superiore al Pil del 90% dei suoi membri. È una cifra controversa, data la clandestinità del mercato, ma è evidente che il mercato illegale delle droghe, con i suoi fattori di rischio e di mancanza di controllo, è un mercato fra i più ricchi al mondo, insieme con le armi e il traffico di esseri umani.
Il giorno di ferragosto, Vasco Rossi offre alla sua “tribù” un altro comunicato radicale, che insiste sulla non pertinenza dei test sui cannabinoidi ai fini della sicurezza stradale; e il 17 agosto ritorna su un fondamentale aspetto delle politiche sulle droghe: «È di pochi giorni fa la notizia… il ministro nominato da Obama per le politiche sugli stupefacenti… ha dichiarato che il problema, da questione di carattere “morale”, deve diventare una faccenda di carattere “sanitario”… questa nuova posizione del governo americano lascia sperare che finalmente si cominci a usare il cervello al posto del manganello».
Nella giornata del 17 agosto Vasco scrive un’altra nota, che si conclude con queste tre frasi, che da antiproibizionisti radicali sottoscriviamo pienamente, riconoscendoci: «La droga non è un problema di ordine pubblico, ma un problema di ordine sanitario! Il drogato non è un pericoloso criminale, ma un malato che soffre di una feroce dipendenza. Chi sostiene il proibizionismo sostiene, di fatto, gli interessi della Mafia e della malavita».
Grazie al compagno Vasco Rossi e alla prossima puntata
Claudia Sterzi
(da @.r.a. Associazione Radicale Antiproibizionisti, 27 agosto 2011)