Stiamo andando spediti verso l'aumento dell'Iva dal 20 al 21%, un metodo come un altro per rastrellare soldi così come impostoci dall'Ue. Un metodo, per l'appunto, come un altro che ci fa sorgere una domanda: siccome questa imposta viene pagata solo dai consumatori finali che, non essendo soggetti con partita Iva, non la scaricano, siamo sicuri che la penalizzazione dei consumi sia il metodo giusto? Siamo sicuri che questo non porterà solo ad un maggiore esborso da parte dei consumatori e non ad una contrazione degli stessi consumi? Siccome viviamo in questo Paese e non sulla Luna, tutti sappiamo che un aumento dell'aliquota Iva di un punto non significherà che i prezzi aumenteranno della medesima percentuale, ma come minimo del 5%... non crediamo esista chi -tra produttori, distributori e commercianti- non raccoglierà l'occasione per specularci sopra.
A prezzi e costi mediamente aumentati del 5%, la contrazione dei consumi è una logica conseguenza. Contrazione che nel breve e lungo periodo avrà la sua influenza su chi produce servizi e prodotti, contrazione che avrà anche conseguenza sui posti di lavoro, sugli investimenti produttivi e, alla fin fine, sempre e solo sul cittadino consumatore e lavoratore, con prodotti e servizi più costosi e meno disponibilità di lavoro.
È il mercato. Dipende da come lo Stato lo vede e come vi si pone: se come regolatore dello stesso o come badante/infermiere. Grandi discorsi e grandi teorie lontane? Solo per chi vuole ignorare un piccolo punto di partenza in economia: le crisi non nascono dal nulla, ma sono il risultato di politiche sbagliate da parte dei vari governi, politiche che vanno riconsiderate se si vuole non solo fare i “bravi ragazzi” nei confronti dei “maestri” dell'Ue, ma anche far cambiare rotta al proprio Paese. Raschiare nel fondo del barile è' il tipico atto dell'aumento di una tassa sui consumi, provvedimento che può solo portare a far crescere lo sport nazionale del contribuente italiano, l'evasione. Il barile, invece, va cambiato, a partire dall'humus che lo regge, cioè la fiducia del contribuente; fiducia che non si conquista solo con più polizia e presunte pene più severe, ma trasformando lo Stato in un amico, e i buoni amici servono a far risparmiare soldi non a spenderne di più. Niente di meglio che abbassare le tasse e, per rimediare ai buchi, agire solo su se stessi (Stato e amministrazione) e sull'evaso.
Un Paese si risolleva non stremandolo ma dandogli nuova linfa e nuova fiducia. Come potremmo dar torto se, in un contesto come l'attuale e come quello che si prospetta nei prossimi anni,
- il consumatore sarà sempre più invogliato ad acquistarsi (più di quanto già non faccia oggi) un telefonino ad Hong Kong piuttosto che in negozi italiani;
- una azienda sarà sempre più invogliata a spostare la propria produzione in Romania o nella nascente Libia, piuttosto che mantenerla in Italia?
Per questo crediamo che muoversi nella prospettiva dell'abolizione dell'Iva possa essere una carta vincente. Certo, questo implicherebbe tante questioni, a partire dal nostro rapporto con l'Ue e il finanziamento che oggi facciamo di queste strutture comunitarie con parte di questa aliquota... ma l'Ue -che vorremmo avesse anche potere politico e non solo economico- si potrebbe finanziare anche attraverso altri canali. Così come il gettito fiscale nazionale che oggi deriva dall'Iva e da tutte le altre tasse simili potrebbe arrivare da una migliore e più attenta imposta sul possesso di beni immobili e finanziari e da una imposta sulle transazioni monetarie. Qui il discorso si fa articolato e non lo affrontiamo ora, perché allo stato ci interessa bloccare la tendenza distruttiva in atto, bloccando il bloccabile e indicando percorsi diversi che, proprio nei momenti peggiori in cui “tutti i nodi vengono al pettine”, hanno bisogno di creatività che sparigli il consolidato.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc