La condivisione del proprio vissuto senza personalismi e auto-referenzialità apre e conduce la poesia dell’autrice ad una spontanea e circolare comunicazione con il lettore.
Diventerà un appuntamento
tra le tue pagine preferite
scivolerò piano
nel tragitto breve
tra l’occhio e la mente
dapprima ti sembrerà niente
poi parola per parola
ti approprierai di me
e scaverai fino a trovare il seme
(Il tratto che ci unisce, pag. 11)
Cinzia Demi apre la porta della sua casa, della sua notte-cucina «dove i resti della sera sono i resti della vita», anzi lascia aperta quella porta a chi vuole cercare, incontrarsi, sentire e com-prendere.
Proprio sul tavolo con le briciole e nel suo cuore una torta da preparare per misurare un’assenza, la generosa ospitalità della poetessa varca il silenzio e offre voce-raccolta da uno stile sostenuto, mai lacrimevole, studiato, limato ma anche corroso dall’emozione. La casa del poeta non accoglie il pianto quasi come un patto già stretto in precedenza con se stessi e con gli altri ma diventa parola e poesia. Il tratto che ci unisce non è un fine da raggiungere ma da convalidare ogni volta, nell’intensità del ricordo, dell’assenza, del tornare, del ri-abbraccio.
L’incisiva prefazione di Davide Rondoni ben coglie che le partiture del libro altro non sono che spostamenti dell’anima dell’autrice. Cinzia si abbandona coscientemente al mistero della vita, prendendo qualsiasi frammento essa regali, porti, restituisca al nostro viaggio non semplice ma vitale. E vita è, quella che dona agli ospiti mentre «il tarlo del foglio/mi rode/immutato ostinato/ mi spinge a riempirlo/ come se parole/non ancora chiamate/ arrivassero all’appello elementare». Una chiamata delle parole alle origini, di quando esse nacquero non corrotte, vergini d’infingimenti, vestali di memorie che insieme si cercano nel foglio per trovare il tratto che ci unisce.
Dal titolo della silloge emerge la misura del sentimento che si espande vitale per rinnovarsi all’alba, per morire ogni giorno; l’amore ha il bisogno costante di essere rimandato al cuore, ridonato a chi lo sa conservare e tenere acceso. Un braciere, che il verso equilibrato, riesce a non far scoppiare ma a tenere caldo, a sciogliere gli inganni, le rimozione, gli asfittici logoramenti. Un dono per tutti questa luce che si alimenta di immagini
cerca nei tuoi ricordi/ quel filo che ci unisce/ annodalo, annodalo fra i capelli/…scoprirai una piccola cosa mia/ che ti appartiene (pag. 25)
spesso le nubi/ sono nidi per le parole/…/ ti vedrò mentre parli e sorridi/ nel momento costante/ che aumenterà piano/ fino a scandire l’affetto /… /ed io seduta/con le mani inutili/ e le carezze/sciolte nel caffè (pag. 29)
In questi versi è evidente come l’ipallage sia la figura retorica più consone all’autrice ed è, a mio avviso, in questa fruizione dell’immagine alternata a vocaboli quotidiani, il filo conduttore del testo; un realismo cioè che costantemente si trasforma in altro da sé, in una ricerca che pur consolidata si rinnova e si consegna all’ascolto, in versi rutilanti e inaspettati. «Che strano sapore/ possono avere le stelle/ho la bocca piena di sale/… scrivere sul vetro i desideri».
I girasoli aprono la memoria e riportano il tempo andato nello spazio consueto della vita, con ricerche di luce mai tramontate, mai recintate nel silenzio. Odora di salmastro la chiesa, la sacralità della vendemmia riporta gli anni dai “sogni intatti”... «forse è per questo/ che sono all’entrata del paese/ per accogliere i viaggiatori».
Cinzia Demi ci accoglie e anche le sue liriche si aprono a consolare quel mistero a cui si deve rispondere ma che ognuno rimanda al tramonto di un’altra alba con una «poesia come sale/ (così davvero era)/ lambisce la scogliera».
E dal salmastro che corrode la chiesa, dalle parole che si rifrangono sugli scogli insieme al mare, dagli anni in cui «credevo / che lo spazio e il tempo/ si fermassero da te /in quel momento» scaturisce il tratto che ci unisce.
Patrizia Garofalo
Cinzia Demi
Il tratto che ci unisce
Prova d'Autore, 2009, pagg. 96, € 10