“s-tornare in alto
da un punto ansante di materia inerte”
(Nina Nasilli)
«Il sapore del vento» è l’efficace sinestesia con cui Sandra Evangelisti apre la sua silloge che permea di sé l’intero testo nel quale «la cognizione del dolore» trova una costante fisicità della parola e del canto che l’accompagna s-tornando in alto il pericoloso inabissarsi del verbo poetico. «.../ ed ecco allora/ ogni parola/ è divenuta/ fiore», «ritornerò/ fra le pareti/ del cuore/ per sentire/ risuonare/ una voce». Il vento suona, armonizza, ha il gusto dei ricordi, della memoria, riporta «fra le pareti del cuore» occhi amati, luoghi di giovinezza che consolano la solitudine e proprio quando essa dichiara la sua impossibilità di volare, alto e forte si alza il verso dell’autrice. «È l’infinita vacuità/ del nulla/ che ti chiedo/ di aiutarmi/ a vivere». Il nulla apre a dilatazioni temporali e spaziali che vanno dal mare al chiuso delle pareti, come se niente e nessun cambiamento possa strappare un sorriso e connotare un dolore costante che si sveglia all’alba. «Ciò che fa dire: misericordia/ allontana/ questo giorno -/ oppure:/ ecco sia fatta/ la Tua volontà/ - non riesco» a cercare briciole che indichino una cornice per l’agito, il suo senso, la bellezza del creato, l’incanto di un abbraccio, forse esistito nella frequentazione dell’assenza.
E l’assenza si misura nella silloge dell’autrice come dicotomia tra il reale il sognato, nelle parole odorose della voce del vento «non c’è amore che non trascenda il finito». Per le parole bastano gli occhi; ne conseguono nella raccolta un ermetismo e una destrutturazione semantica che annodano dolcezze e rantolii e suggeriscono brandelli di rime, spaesate ed impaurite dall’avverarsi forse di un reale non voluto – «Ho sempre perso tutto/ ciò che amavo all’improvviso». «Essere nulla da viva/ ci sono sempre riuscita» – ma sperato: «La sera coricandomi/ appoggerò,/ e sentirò la mano/ calda/ che accarezza/ e stringe./ Tienimi il viso,/ amore./ Che non muoia/ ... malata/ del mio stesso male/ non sentivo/ E ora/ vivo».
È nell’andamento discontinuo dei versi che consiste la pregnanza di questo testo; la poetessa arresta il respiro proprio là dove interrompe il verso, con il corpo coglie la vacuità del nulla in contrapposizione all’intensità del tutto, analizza a pelle nuda turbamento e gioia, immagina fasce di luce «respiro luce intensamente» e «spigoli puntati/ smussati/ dal trascorrere/ dell’ora». Impazzisce l’orologio del tempo e l’autrice gli sovrappone i tempi dell’anima, tempi d’amore che proprio nella negazione del tutto farà respirare l’infinitezza del finito nella lotta quotidiana per dare alla vita la sua interezza nella sostanzialità originaria. «Aspetta./ Ancora./ L’infinito bene./ attende». Così la punteggiatura viene a indicare il respiro corto e «il sapore del vento» e il libro significa un’anima da abbracciare e un corpo a cui pettinare le lunghe trecce.
Patrizia Garofalo
Sandra Evangelisti
Diario Minimo
Edizioni Del Leone, Spinea (VE) 2011, pagg. 128, € 11,40