“La brezza invernale
si chiama sbizza
e tinamo è parola d’amore”
Massimo Bevilacqua è poeta, musicista e voce che esplora la parola. Essa nasce dal silenzio e si connota attraverso la densa formulazione di esistere come scarto dalla norma consueta e quotidiana.
Come dalla sua silloge morfologia dell’abbandono (Lieto Colle, 2007) la ricerca trova spazio nella mappa dell’anima e nella meditazione foriera di suggerimenti e dialoghi che congiungono memoria del passato e attraversamento dell’oggi con un agito originale e poetico. «Si sta mozzando un giorno nelle coperte/ migliaia di parole raggruppate in frasi/ hanno fatto il loro tempo e una linea retta/ tira il tuo respiro sulla nuca nuda e inarcata./ meno male che i tuoi sogni non muoiono mai/ …/ siamo radici della prossima assenza/ …il figlio giace sfollato senza mappe/ le foto sono il ritratto della stabilità/ amano essere il desiderio/ di qualsiasi abbozzato movimento».
Il figlio sfollato e senza mappe com-prende che cogliere la vita necessita della coscienza dei continui abbandoni per dare loro un senso che spinga a disgelare il freddo della caducità in “colloqui altri”, proprio quelli che l’autore trova “tra castagne e lacrime” nella natura della sua terra ricca di boschi e dove il silenzio apre il varco alla parola non detta e suggerita da fruscii, acqua di fiume, foglie secche.
«cerco di trafiggere quel segreto che/ lasci pietrificarsi piano sulla tua bocca» ed è proprio da questa consapevolezza «fragile come una virgola/ dentro un discorso che non so dov’è», che scaturisce la sorgente della musica insieme alla parola di Massimo Bevilacqua.
Il suono fa eco ad immagini caleidoscopiche e apre la vista ad un mondo di possibile reciprocità con il “tu” che segue il ritmo della sua musica dalla quale attinge come per colorare con trasporto un creato dove “tinamo” è parola sussurrata e offerta.
«E farò, disegnandole, tante forme nell’aria/ soffierai, ingrandendole, come dentro una storia/ e dirai, indicandole, un miliardo di cose/ riempirai catapulte di colore»
Per stessa dichiarazione del poeta, la sordità dei genitori ha indicato nel mondo della gestualità, la connotazione della parola insieme al vuoto del silenzio che Massimo trasforma nella silente sospensione di uno spazio dentro cui le cose si pacificano prima di svelarsi alla multiformità della poesia, della musica e della vita.
Il CD disegna nella farfalla il riverbero del cielo. Ma è davvero una farfalla? O invece una foglia? Quando apriamo il libricino che riporta i testi delle canzoni, non è forse anche un albero dalle forti radici? Forse quell’appartenenza che impedisce e frena l’“osteoporosi dell’anima”.
A COLLOQUIO CON MASSIMO BEVILACQUA
– Massimo ho letto molte delle tue poesie e tutti i testi di Tinamo, la costruzione di questi ultimi è altrettanto autonoma ed io, che di musica poco conosco, vorrei chiederti in che senso, a tuo avviso essa verrebbe a meglio connotarle…
La cosa parte da molto lontano, Patrizia. Per anni ho scritto testi poetici in una stanza, mentre nell’altra accanto componevo musica e canzoni. Prima di cantare in italiano ho cantato in inglese e perfino in dialetto, poi ad un certo punto ho provato a cantare le mie poesie in alcuni reading. La cosa mi è piaciuta e da lì si è visualizzato il desiderio di puntare ad un progetto di unione delle due anime che è divenuto sempre più incalzante. I primi esperimenti passavano dalla pura poesia cantata alla sperimentazione di testi costruiti sulla melodia delle canzoni… In quel momento mi ha aiutato molto leggere ed ascoltare l’esperienza di Umberto Fiori, il suo pensiero rispetto alla poesia e alla voce. Nell’ambito musicale poi mi ha guidato la nuova corrente folk americana (in primis l’ascolto di artisti come Sufjan Stevens, Bon Iver, Laura Veirs) insieme ad alcune esperienze del cantautorato italiano (Diaframma, Perturbazione e molti altri).
Diciamo che mi sono sbiZZarrito e tutt’ora lo stile compositivo non è univoco, mi capita ancora di comporre la musica partendo da testi poetici (ad es. in “Sordografie”), di cantare e comporre il testo contemporaneamente (ad es. in “Tinamo Farfalla”) oppure anche di comporre prima la musica e poi il testo (ad es. in “Ora d’aria”). Credo che un aspetto importante da considerare sia quello della metrica, in poesia come ben si sa, la metrica ha un ruolo determinante, per la canzone idem anche se quest’ultima è molto vincolata alla dimensione ritmica, alla sonorità ed anche alla ripetitività del testo. Ciò che cerco di fare è tenere assieme il registro poetico e il canto, in una dimensione metrico/ritmica istintiva e personalizzata…
Ma mi sto perdendo in troppi ragionamenti, nella realtà le cose avvengono molto più semplicemente e fluidamente… Ed è meglio così! Certamente posso affermare che il registro dei miei testi non è di tipo narrativo, si rifà invece molto alla dimensione del verso poetico, il verso che ricrea immagini… La canzone “Adda” per me ne è un esempio lampante, è un insieme di frammenti, ricordi, immagini che si incastrano come dentro un quadro cubista.
– Microrchestra? poca strumentazione? E soprattutto ci dici quale e perché?
In realtà in TINAMO la strumentazione è piuttosto ricca, questo perché abbiamo pensato che sarebbe stato bello coinvolgere la comunità di musicisti e artisti “vicini di valle”. Il nucleo base del progetto è però composto da voce, chitarra, basso, batteria-percussioni, piano, musical saw, glockenspiel, clarinetto, oboe e tromba. In effetti questo nucleo base rappresenta una piccola orchestra o almeno questo sarebbe il nostro sogno. I fiati sono strumenti tipici e usati molto nelle bande di paese, sono strumenti che riportano spesso alla memoria e alla quotidianità. Gli altri invece sono più moderni e sperimentali, così ne esce un bel mix. Infine il “micro” è anche legato alla dimensione territoriale del progetto: piccola è la valle, piccolo il cielo, piccolo l’orizzonte, piccola la distanza tra la casa e il bosco… Piccole tante cose…
– Mi piace molto il termine “Sbizza”, adesso che ne conosco il significato mi sveleresti perché hai scelto questo nome per te?
L’ho scelto perché cercavo un nome “prossimo”, sbiZZa è una parola dialettale usata da una persona molto cara… Un nome prossimo un po’ perché il progetto è come un figlio e un figlio vuoi tenertelo stretto e vicino, almeno quando nasce e muove i primi passi… Volevo qualcosa della mia quotidianità, volevo qualcosa legato ai luoghi da cui provengo, volevo anche un nome al femminile, volevo un nome che mi riportasse all’inverno e alla sua splendida capacità di tenerti sveglio, vivo, reattivo… SbiZZa mi sembrava il nome giusto, ci ho pensato molto… Non è stato facile trovare una parola che racchiuda un progetto per me così importante e pieno di tante cose della mia vita.
– Sordità, Massimo… come silenzio e spazio di gesti, ma anche come vuoto?
Certo, anche come vuoto… Tempo fa ho scritto due testi, uno in prosa dedicato a mia madre, l’altro in versi dedicato a mio padre. Ho provato a dare voce e parole a due foto bellissime in bianco e nero con i loro volti alla festa dei coscritti per i 18 anni. Sono due foto bellissime in cui non ho potuto non parlare del tema del vuoto, del dolore legato alla loro sordità… Entrambe finiscono con due versi identici, forse un po’ tristi ma per me reali, chiudono così: «Magari avevi perso tanti sguardi o una serata sognata / e al silenzio piaceva ritorcersi e trattenere».
– Io penso che la sordità sia, negativamente intesa, il vociare senza senso, il fastidio di parole inutili, il non ascoltare, e spesso anch’io cerco la natura. Qual è la natura che ti parla?
Condivido Patrizia, la sordità non è soltanto un problema del corpo fisico, una questione di assenza, c’è di più, c’è un sordità delle emozioni, dello spirito e perfino del silenzio. La natura è vitale per le mie parole, è il tappeto sul quale a volte ho la sensazione di posarle… Che siano cantate o recitate. Qui di natura sono circondato, e spesso sento di trascurarla troppo, fortunatamente rimane ancora un grande prato verde avanti a casa mia, con un albero di albicocco che proprio oggi sta rifiorendo.
– In questo tuo percorso artistico cosa ti arricchisce di più?
Mi arricchiscono due cose: la forza del progetto e le persone che ne fanno parte. Per me è stato come vivere una vera e propria metamorfosi… Superare la sordità (non soltanto fisica) attraverso il desiderio di comunicare con il linguaggio poetico. La poesia e la forma canzone sono sempre state due cose separate da una linea di demarcazione abbastanza netta. Poi d’un tratto tutto magicamente si è rimesso a posto, non avrei mai pensato che dei testi poetici (o con un registro poetico) potessero essere musicati e cantati… Anche se ci scordiamo spesso che la poesia nasce come canto.
– Ti chiederei simbolicamente di regalarmi una canzone. Ti prometterei di custodirla bene e di restituirtela al ritorno da un tuo viaggio. Quale mi daresti e da quale viaggio torneresti?
Questa domanda è splendida, l’idea di lasciarti in custodia una canzone dentro il tempo di un viaggio è affascinante. Ti donerei proprio “castagne e lacrime”, te la lascerei cullare perché sei una poetessa e questa canzone esplode di poesia e femminilità. Io partirei e me ne andrei ad est fino all’oceano Pacifico, che non ho mai visto…
– È di routine chiederti i tuoi programmi ma ESISTERE è già un meraviglioso viaggio… vero?
I programmi non sono molto fitti… È già un dono, come dici tu, quello di essere giunto a questo punto, a questa metamorfosi. Ci sono alcuni concerti, ognuno diverso per location, per modalità, per collaborazioni e questo è bellissimo! Abbiamo spedito a diverse riviste, siti, etichette, concorsi… Chissà… Siccome sono del Toro e ho pure l’ascendente in Vergine (due segni di terra) non posso che non seguire la mia indole astrale ovvero stare con i piedi per terra (con le pupille rivolte al cielo…).
Grazie di cuore per questa appassionante intervista.
Patrizia Garofalo