C'è qualcosa di irritante e stucchevole nelle affermazioni dei ministri leghisti Roberto Calderoli (per la Semplificazione amministrativa) e Umberto Bossi (delle Riforme per il Federalismo) e della ministra dell'Istruzione, Università e Ricerca (almeno, ciò che ne rimane) Mariastella Gelmini che chiedono agli studenti di andare a scuola e agli impiegati di raggiungere gli uffici il 17 marzo, data in cui si dovrebbe, secondo gli intenti generali, festeggiare il 150° dell'Unità d'Italia.
Per i disoccupati non ci sarà problema: loro avranno tutto il tempo libero per fare una degna festa.
L'Italia, vorremmo dire ai nostri rappresentanti (nominati e non eletti) in Parlamento e al Governo – anche se va detto che non tutti sono d'accordo con quelli succitati –, non si rovinerà di certo se quel giorno il popolo di studenti e lavoratori, vale a dire il futuro che dovrà sostenere il Paese e una parte di quello che con onestà, onore, sacrificio e sudore contribuisce a sostenerlo nel presente, non si recherà negli stabili, anche obsoleti, dove hanno sede scuole e uffici.
È da parte di questi ministri un calcolo politico e strumentale, destabilizzante e destrutturante quello di sminuire con tali affermazioni la portata della ricorrenza, che potrebbe invece, costringendo a riflettere per aiutare a porre nuove basi di convivenza civile e consapevolezza, accomunare tutti?
Che sia quest'ultima una domanda retorica?
Orbene, che non facciano festa loro. Se vogliono andare a lavorare il 17 marzo, lo facciano. Ma lascino in pace gli altri che forse ancora credono nel valore condiviso del proprio Paese e della sua storia, per quanto essa sia da vivere e rivisitare sempre con ragione e uso critico.
Davvero pare un giochino da furbini questa sottilmente ingannevole e stillicida delegittimazione di un giorno così fortemente simbolico e di straordinaria carica morale.
Ciò anche nel ricordo dei tanti uomini del Nord, compresa la formidabile e folta pattuglia di bergamaschi (non a caso Bergamo è la Città dei Mille) che in nome di un ideale parteciparono a un'epocale impresa reputando di sgravare una nazione e le sue genti da secolari e pesanti servaggi.
Nel ricordo dei tanti morti che vi credettero.
L'amore per la Patria può benissimo conciliarsi con una mentalità aperta al mondo e al rispetto di culture altre. Questa positiva affezione può abbracciarsi persino con il no global, il multiculturalismo, la multietnicità e il desiderio di abbattere frontiere e confini. Perché alzare ancora furiosi e rabbiosi steccati?
E il glocal non può né deve essere chiusura egoistica e narcisismo egotistico.
L'Italia sarebbe un fantastico crogiolo culturale nel quale dovrebbe prevalere l'armonia delle diversità.
Nulla contro il federalismo. Purché sia serio e unificante, non ipocrita, solidale (la distribuzione della ricchezza, senza iniquità, è un merito, un valore).
Chiediamo alla Lega, partito di governo, a quali e quanti compromessi si sia prestata in questi anni. Che ne pensa la stessa base leghista?
Un'idea... promuoviamo un referendum sulla secessione del Nord dal resto d'Italia. Si voti. Si dia voce alla sovranità popolare, tanto spesso a vanvera invocata. Se vincessero coloro che non vogliono andarsene via preferendo mantenere il tricolore alla bandiera con il sole delle Alpi...
Io da cosmopolita festeggerò il 150°.
Alberto Figliolia