Viatico
O ferito laggiù nel valloncello
tanto invocasti
se tre compagni interi
cadder per te che quasi più non eri.
Tra melma e sangue
tronco senza gambe
e il tuo lamento ancora,
pietà di noi rimasti
a rantolarci e non ha fine l’ora,
affretta l’agonia,
tu puoi finire,
e conforto ti sia
nella demenza che non sa impazzire,
mentre sosta il momento
il sonno sul cervello,
lasciaci in silenzio.
Grazie, fratello.
Clemente Rebora
Clemente rivela fin da giovanissimo una “sensibilità intellettuale acutissima”, così Marco Dalla Torre presenta questo epistolario dal quale si evince come la tensione del percorso di Rebora si elabori e si coniughi lentamente nel suo essere dilaniato tra gli orrori della storia di inizio secolo che investono e permeano l’animo in una devastante dolente tensione dello spirito che convergerà nella conversione. Dalla partenza per il fronte appare evidente come il falso mito della guerra rivendicato dai “vociani” lo veda distante ma anche vittima dell’orrore più vasto dello sguardo pietrificante della Medusa. Indagare dentro questa tensione è stato attento compito di Dalla Torre che si fa voce di orrori e riporta l’espressionismo semantico e la disgregazione della parola con la lucidità critica di una selezione che restituisce voce al silenzio che seguì allora, la produzione di Rebora.
È desueto tentare la lettura di un critico che a sua volta riporta la voce di un grande nel suo travaglio. In realtà la mia non è la recensione di uno studio ma una forma di ringraziamento ad una lettura da reportage che Dalla Torre offre non alla sua breve lettura personale ma un dono per chi si può avvicinare a Rebora senza impostazione autoreferenziale.
A proprio modo ognuno può entrare nel testo, nell’epistolario poco noto e nel travaglio che lo anima tra la Medusa, più vicina al dipinto di Caravaggio che al mito greco, e un dissidio sempre presente tra orrori di guerra e, guerra dell’io.
Nella necessità di Rebora di essere parte delle sofferenze altrui, di una risorgenza comune e senza schieramenti, è sottolineata con significativi testi la progressiva disgregazione del linguaggio che esonda in urla disperate di pace. L’orrore e la deriva hanno gambe mozzate, teste dilaniate, sacrifici umani insieme alla puzza del sangue e della carne che marcisce e reclama non solo sepoltura ma bensì cerca Dio.
Patrizia Garofalo
Clemente Rebora
La mia luce sepolta
Lettere di guerra
a cura di Marco Dalla Torre
Gabrielli Editori, 1996, pagg. 74, € 7,75