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Camilla Spadavecchia. Migrazioni nel terzo millennio: fatti e cifre di un fenomeno molto discusso e poco conosciuto
18 Settembre 2010
 

La sedentarietà non è che una breve parentesi nella storia dell’umanità. Nei momenti essenziali della sua avventura, l’uomo è rimasto affascinato dal nomadismo e sta ritornando viaggiatore.

J. Attali, L’homme nomade, 2003

 

 

Le migrazioni non sono il frutto di una società industriale o post-industriale, ma accompagnano l’umanità sin dai suoi esordi. Uomini e donne da sempre si muovono, all’interno di coordinate spazio-temporali in cerca condizioni di vita migliori. Tuttavia con l’avvio della sedentarietà, i migranti cominciano ad essere considerati “mine vaganti” che destabilizzano l’ordine sociale acquisito e consolidato dalle popolazioni residenti.

Oggi i migranti sono i rifugiati che hanno dovuto lasciare il proprio Paese di origine a causa della repressione politica, dei conflitti armati o ancora delle violazioni dei diritti umani; sono i ricercatori e le persone altamente qualificate che, a causa della condizione di precarietà alla quale sono soggette nel proprio Paese, decidono di trasferirsi per poter svolgere trovare un’occupazione migliore; sono coloro che per un qualsiasi lavoro si spostano all’interno dei confini nazionali e internazionali; sono i grandi manager aziendali che vengono dislocati in nuove aree dalle proprie multinazionali.

 

Condizioni necessarie al processo migratorio

Il report World Survey on the Role of Woman in Developmentdel 2004 individua la necessità dell’esistenza di tre fattori perché la migrazione possa avere luogo: la presenza di una domanda da parte della comunità o Paese di destinazione, la spinta da parte dei Paesi d’origine e, non per ultimo, una rete che metta in collegamento la domanda con l’offerta. La rete è generalmente creata dalla famiglia o dalla comunità stessa di appartenenza del migrante e fornisce tutta una serie di servizi al nuovo arrivato che ne permettano un veloce inserimento all’interno del sistema burocratico e sociale del nuovo Paese. Fanno parte di questi servizi la ricerca di un posto di lavoro, di una casa o anche l’aiuto ad ottenete il permesso di soggiorno. La presenza di tale modello migratorio basato sulle reti familiari e di comunità serve a spiegare la forte concentrazione di immigrati provenienti dalle medesimi luoghi in uno stesso Paese di destinazione.

 

Le migrazioni internazionali: una piccola percentuale

delle migrazioni totali

I flussi migratori sono complessi e non lineari, non seguono pertanto, come si potrebbe facilmente immaginare, una traiettoria fissa che va dai Paesi in via di sviluppo verso i Paesi “sviluppati”, ma vedono principalmente spostamenti interni ad uno stesso Stato o verso i Paesi confinanti. Dai dati forniti dall’UNDP nel report 2009 dedicato alle migrazioni emerge come i migranti si muovano tendenzialmente verso Paesi inseriti all’interno della medesima fascia di sviluppo umano, seppur con valori ISU (Indice di Sviluppo Umano) tendenzialmente più alti. Una delle principali ragioni che inducono i migranti dei Paesi in via di sviluppo a non andare verso i Paesi sviluppati risiede negli elevati costi che questo tipo di migrazione comporta, sia per la lunga distanza del viaggio sia per le restrizioni politiche circa l’attraversamento dei confini stabilite dai Paesi di destinazione. C’è quindi bisogno di una buona disponibilità economica per poter migrare verso i Paesi con un PIL più elevato. Ne consegue che il 50% dei migranti internazionali si muovono all’interno della Regione d’origine e il 40 % di essi si muove verso i Paesi vicini, mentre solo il 37 % va verso occidente.

Ad incidere sulla scelta del Paese di destinazione sono anche motivazioni culturali di tipo soprattutto linguistico e religioso: 6 persone su 10 scelgono di migrare verso un Paese dove la propria religione sia dominante, e 4 su 10 decidono di muoversi verso un Nazioni che abbiano come lingua principale la loro stessa lingua (HDR, 2009).

Al 2009 sono 740 i milioni di persone che hanno intrapreso un percorso di migrazione interna, mentre sono 214 milioni i migranti che, secondo i dati dell’IOM (International Organization of Migration) si muovono su traiettorie internazionali. Quest’ultimo dato, se comparato quello del 2000, che vedeva 150 milioni di migranti internazionali, mostra un trend migratorio internazionale in crescita costante proporzionata al trend demografico mondiale.

Le possibili ragioni di tale aumento migratorio su scala internazionale sono, secondo l’UNDP:

  1. Globalizzazione economica e integrazione, che connette le economie di origine con quelle di destinazione.

  2. Crescita delle multinazionali che muovono il loro personale è questo il caso, a titolo d’esempio, degli accordi commerciali che vedono lo spostamento di grandi manager di multinazionali.

  3. Trend demografici se da un lato la popolazione dei Paesi sviluppati invecchia in maniera costante, dall’altro nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo la popolazione cresce più velocemente rispetto al mercato del lavoro.

  4. La rivoluzione dei mezzi di trasporto che ha reso più economici e veloci gli spostamenti.

  5. La rivoluzione delle comunicazioni che diventano canale informativo circa le nuove opportunità lavorative esterne al proprio Paese.

  6. La crescita di comunità transnazionali incluse le persone che hanno la doppia o multipla cittadinanza.

  7. I cambiamenti geopolitici recenti che hanno portato alla creazione di nuovi Stati o all’abbassamento di vecchie barriere. Ne sono esempio negli ultimi 20 anni la fine dell’Unione Sovietica che ha portato alla creazione di nuovi Paesi, e l’ingresso dal 2004 al 2007 di 10 di questi all’interno dell’Unione Europea. Si tratta di un cambiamento epocale che permette oggi a molte persone prima confinate al di la della cortina di ferro di muoversi liberamente all’interno del territorio dell’UE. Questo significa che i flussi migratori regolari nell’UE sono aumentati notevolmente. Si pensi al caso delle donne migranti inserite nel “mercato della cura”, che dall’est Europa migrano temporaneamente o circolarmente verso i Paesi occidentali dell’UE per lavorare come badanti o baby sitter, sostituendo le donne nel ruolo di cura della famiglia.

Il fenomeno migratorio nella sua complessità ha numerose sfaccettature e modelli. Una prima distinzione può essere fatta tra migrazioni volontarie, che vedono gli individui spostarsi per motivazioni generalmente personali, che possono essere lavorative o familiari, e le migrazioni involontarie che si originano a causa di fenomeni esterni al singolo come, a titolo di esempio, i conflitti e il traffico di esseri umani.

Qui a seguire vengono riportati alcuni esempi con dati recenti di migrazioni volontarie e involontarie, come le migrazioni per motivi lavorativi, la fuga dei cervelli, i conflitti come causa di migrazioni, e la tratta di esseri umani.

 

Migrazioni per ragioni lavorative

Il lavoro è uno dei grandi motori delle migrazioni di tipo volontario. Ad oggi sono circa 80 milioni le persone che, secondo le stime della IOM, si muovono oltre i propri confini locali e nazionali in cerca di una nuova occupazione. Anche in questo, come per altri casi, si parla di stime in quanto oltre ai migranti per via regolare, esiste una percentuale di migranti irregolari e quindi difficilmente sondabili.

Questo tipo di migrazione viene convenzionalmente divisa in tre tipologie: temporanea (gli individui si muovono per un breve periodo e poi ritornano presso le proprie comunità) circolare (gli individui si spostano in maniera continua tra la propria comunità di appartenenza e il luogo di lavoro) o permanente (coloro che si stabiliscono, possibilmente con la propria famiglia, in un nuovo luogo) (UN-DAW, 2004). Tuttavia non è detto che una persona che inizialmente decida di migrare solo temporaneamente non si stabilisca poi definitivamente nel Paese di destinazione. Ne consegue che il percorso migratorio non deve essere visto come fisso ed immutabile, per cui un individuo una volta acquisito lo status di migrante temporaneo non possa diventare un migrante circolare o permanente, ma come un fenomeno fluido in continuo cambiamento.

 

Fuga di cervelli

La fuga di cervelli costituisce una delle tipologie di movimento migratorio volontario per ragioni di lavoro. Si tratta di movimento di persone altamente qualificate che si spostano sia all’interno del proprio Paese sia verso rotte internazionali per raggiungere posizioni occupazionali che diano loro prospettive lavorative migliori. Questo tipo di migrazione è altamente connessa con lo sviluppo socio - economico su scala locale e globale. Molte sono le ricerche che negli anni hanno tentato di mettere in luce vizi e difetti di questa connessione, non per ultima una ricerca condotta nel 2001 dall’UNDP proprio circa le connessioni tra sviluppo e brain draindalla quale si evince che se da una parte la “fuga di cervelli” costituisce un impoverimento immediato per il Paese di origine, (si pensi se ad esempio se il 30 % delle persone che lavorano nel settore sanitario di una Nazione decidessero di trasferirsi all’estero, la perdita per il Paese di origine sarebbe ingente) dall’altra aumenta lo sviluppo socio-economico globale che, secondo alcuni, dovrebbe riversarsi positivamente anche sullo sviluppo locale del medesimo Stato d’origine.

Le ragioni che inducono a pensare che la fuga dei cervelli porti ad un positivo sviluppo globale e quindi locale sono basate sulla considerazione che, sia che i “cervelli” tornino a casa sia che rimangano all’estero, saranno comunque motori di sviluppo socio-economico del proprio Paese nel medio e lungo termine:

  1. i migranti di ritorno portano con se le conoscenze e competenze acquisite all’estero;

  2. gli emigrati che vivono all’estero, contribuiscono allo sviluppo economico del proprio Paese grazie alle rimesse economiche;

  3. il trasferimento di conoscenze tecnologiche può portare sviluppo ai Paesi in via di sviluppo;

  4. lo scambio di conoscenze tra diversi Paesi migliora la conoscenza mondiale.

Basandosi su tale linea di pensiero, l’UE che nella Strategia di Lisbona per il 2010, si pose l’obiettivo, rinnovato poi al 2020, di divenire l’economia mondiale basata sulla conoscenza più grande al mondo, ha adottato una serie di politiche e programmi che puntano sulla promozione di migrazioni temporanee dei ricercatori europei, all’interno dei 27 Paesi membri, ma anche su scala globale, per favorire l’acquisizione di nuove conoscenze e lo scambio di buone pratiche al fine di migliorare la qualità scientifica e tecnologica dell’UE.

 

Conflitti come causa di migrazioni

I conflitti sono un grande motore per le migrazioni di tipo non volontario. Stando ai dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) del 2008, circa il 7% delle migrazioni internazionali è costituito da rifugiati e richiedenti asilo. Si tratta di 14 milioni di migranti involontari che si muovono da Paesi poveri verso, soprattutto, altri Paesi poveri, situati appena oltre la linea di confine. Le aree maggiormente colpite da questo tipo di migrazione sono Medioriente, Asia e Africa. I Paesi che ad oggi generano il maggior numero di rifugiati nel mondo sono Afghanistan, Iraq e Somalia.

 

Il recente caso della Somalia

Secondo le stime dell’UNHCR solo gli ultimi combattimenti Somali tra l’organizzazione di resistenza Al Shabaab e il governo di transizione, hanno portato alla morte di oltre 230 civili, centinaia di feriti e quasi 25 mila sfollati che vanno ad ingrandire le fila del già esistente milione e mezzo di sfollati interni al Paese e dei 614 mila rifugiati. Si tratta di una delle crisi umanitarie più grandi al mondo. In quest’ultimo anno, nonostante l’inasprimento della crisi, le persone che sono riuscite a raggiungere i Paesi vicini sono drasticamente diminuite a causa dell’aumento dei posti di blocco delle forze di resistenza armata. Sono 7.300 coloro che lasciando Mogadiscio sono riusciti a superare i posti di blocco e giungere via mare, tramite scafisti, lo Yemen, (circa la metà rispetto allo scorso anno), mentre 37 mila (2/3 rispetto allo scorso anno) sono arrivati in Kenia e 20 mila sono giunti fino all’Etiopia, unico Paese che vede un aumento continuo di rifugiati somali anche a causa dei forti legami familiari e di clan esistenti con lo Stato confinante.

 

Traffico di esseri umani

La tratta di esseri umani è di difficile identificazione perché rimane un mercato sommerso del quale non si hanno dati certi, ma unicamente stime. Ad oggi si sa, grazie a numerose ricerche condotte da agenzie internazionali come l’International Organization of Migration (IOM), l’Ufficio delle Nazioni Unite per Droghe e Crimini (UNDOC) e Università, che la principale causa, e insieme destinazione, del traffico di esseri umani è il mercato del sesso, che costituisce circa l’80% del fenomeno complessivo, seguito dai lavori forzati, servitù domestica, matrimoni forzati, traffico di organi, adozioni illecite e accattonaggio. Le vittime principali sono giovani donne e bambini appartenenti a gruppi etnici minoritari o provenienti da zone post-belliche. Lo sfruttamento di uomini adulti viene ancor meno denunciato in quanto esiste da parte delle vittime una reticenza maggiore a denunciare la propria situazione per la paura che non venga loro conferito lo status di vittima di traffico.

Uscire dalla tratta è spesso difficile, se non impossibile in quanto le vittime vengono private dei loro documenti di viaggio e non di rado trasportate verso Paesi dove le differenze culturali, sociali e linguistiche costituiscono barriere da impedire loro ogni possibile richiesta di aiuto (HDR, 2009).

A rendere ancor più difficile l’uscita dalla tratta pare essere anche il quadro legislativo di molti Paesi di destinazione, come viene sottolineato nel report UNDP 2009 sullo sviluppo:

«Uscire dal tratta è particolarmente difficile anche a causa del quadro normativo restrittivo in termini di migrazioni dei Paesi di destinazione. I controlli restrittivi in materia portano i gruppi già marginalizzati ad avere e mantenere uno status di irregolarità e quindi a non poter entrare nel mercato del lavoro legale» (UNDP - HDR, 2009).

 

È stata questa una riflessione tesa semplicemente a fornire un quadro generale dell’attuale situazione migratoria su scala internazionale dalla quale emerge come alla parola migrazione ben si associ il termine complessità.

 

Per approfondimenti:

UN - DAW, Migration and Mobility and how this movement affects Women, 2004.

UNDP - Human Development Report, Overcoming barriers: Human mobility and development, 2009.

UNDP, Fosu, Kwabu, Human Development in Africa, 2010.

Stark, Oded, “The Economics of the Brain Drain Turned on its Head”, Paper presented to ABCDE Europe Conference, The World Bank, 2002.

Beine, Michel, Docquier, and H. Rapoport “Brain Drain and LDCs' Growth: Winners and Losers” IZA Discussion Paper No. 819, Institute for the Study of Labour (IZA), Bonn, 2003.

D. Sriskandarajah, Reassessing the Impacts of Brain Drain on Developing Countries
Institute for Public Policy Research
, August 2005.

www.migrationpolicy.org

www.onuitalia.it

www.iom.int

www.ilo.org

www.ua.org

www.euromedrights.org

www.un.org

www.unodc.org

www.unhcr.org

 

Camilla Spadavecchia


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