Stefan Zweig aveva un rapporto difficile con il Festival di Salisburgo, anche perché i suoi promotori, Hofmannsthal in testa, non l’avevano mai coinvolto nella manifestazione. Hofmannsthal, come ho avuto modo di illustrare nel mio volume dedicato a Zweig, snobbava la produzione del collega, trovandola, forse non del tutto a torto, debordante sia sul piano emotivo sia su quello stilistico. Zweig, invece, che presso il pubblico godeva e gode di assai maggior popolarità, rimase un ammiratore (e un pubblico elogiatore) incondizionato di Hofmannsthal anche quando gli fu chiaro che quest’ultimo non lo apprezzava affatto. Basti pensare che nessuno della famiglia di Hofmannsthal presenziò alla cerimonia commemorativa, organizzata nel 1929 al Burgtheater dopo la scomparsa improvvisa e prematura del poeta, per la quale proprio a Zweig fu affidato il discorso in memoriam. Neppure questo smacco scalfì tuttavia l’opinione che Zweig aveva sempre avuto di Hofmannsthal, descritto ancora nelle sue memorie, Il mondo di ieri, opera a cui lavorò durante l’esilio in Brasile e che concluse poco prima del suicidio nel 1942, come un “fenomeno di precocità” dal talento insuperabile.
Benché dopo la guerra si fosse trasferito a Salisburgo, in una bella villa sul Kapuzinerberg, oggi proprietà privata, dove trascorse poi accanto alla prima moglie, Friderike Maria von Winternitz, gli anni più sereni della sua vita – fra il 1919 e il 1934 –, Zweig non fu mai reso partecipe degli eventi del Festival, che, di conseguenza, lo disturbava perché, richiamando artisti e turisti da ogni dove, come continua a fare, sconvolgeva la vita tranquilla della città, che personalmente aveva scelto come dimora per la sua posizione “strategica”: vicina a Monaco e non lontanissima da Vienna.
Quest’anno, invece, a Salisburgo Zweig costituisce uno degli highlights del Festival, ma secondo me con eventi un po’ provocatori. Noto al grande pubblico per la sua prosa fluida e semplice, talvolta ridondante e iterativa, ma sempre trascinante in quel suo costante incalzare furioso, autore di una serie di monografie storiche romanzate e di un'ancor più nutrito numero di novelle (pur non sempre prive di scivoloni nel Kitsch) che incatenano il lettore con il loro tratto demonico, Zweig viene, a mio parere, un po’ bistrattato a Salisburgo, perché di lui è stata fatta giovedì (29/07) una pubblica lettura al Landestheater di una novella incompiuta. Certo, affidata a Klaus Maria Brandauer, per altro molti anni fa applauditissimo interprete di Jedermann, la lettura ha riscosso un successo (anche di cassetta) enorme, ma per merito dell’attore e non dell’opera, storia di un amore impossibile che trova sfogo soprattutto in un appassionato epistolario, che non è certo la più significativa nella produzione dello scrittore.
Di un’altra novella invece, nota anche al pubblico italiano soprattutto grazie alla riduzione cinematografica che ne fece Roberto Rossellini nel 1954, con una splendida e raffinatissima Ingrid Bergmann come protagonista, Paura [Angst], al Festival di Salisburgo è stato proposto un adattamento teatrale. Ma anche con il teatro Zweig ebbe un rapporto sempre difficile. Da giovane, assiduo frequentatore di palcoscenici fin dal ginnasio, nutrì bensì il sogno di diventare un grande drammaturgo, ma come autore di teatro fu perseguitato da una cattiva stella. Adalbert Matkowsky, che avrebbe dovuto interpretare Achille nella sua prima tragedia, il dramma omerico Tersiete del 1907, morì durante le prove; lo stesso capitò a Josef Kainz nel 1910, proprio mentre stava preparando la messinscena di La metamorfosi del commediante [Der verwandelte Komödiant], uno spettacolo lieve di ambientazione rococò che Zweig aveva scritto proprio per lui; e molti anno dopo, lo stesso destino toccò al grande Alexander Moissi che sarebbe dovuto essere l’interprete bilingue dell’unico testo teatrale tradotto da Zweig dall’italiano: Non si sa come di Luigi Pirandello. La fortuna non baciò Zweig neppure quando, proponendo un adattamento del Volpone di Ben Jonson a metà degli anni venti, riscosse quel successo a teatro di cui aveva sempre sognato; infatti, poco dopo, il merito di quell’operazione di svecchiamento di quella farraginosa commedia del teatro elisabettiano andò al suo amico francese Jules Romains che aveva attinto a piene mani dal copione di Zweig per la sua riduzione in francese.
Eppure da giovane, come si diceva, sognando di diventare un grande drammaturgo, Zweig aveva dedicato al teatro la gran parte delle sue energie, vuoi come traduttore (di testi di Verhaeren e di Romani Rolland, per esempio), vuoi come autore. Se proprio si voleva rappresentare qualcosa di Zweig, perché a Salisburgo non si è scelta una delle sue opere scritte appositamente per il teatro? La pièce La casa sul mare [Das Haus am Meer] per esempio, composta nel 1910 come la novella Paura (anche se quest’ultima fu poi pubblicata solo dieci anni più tardi), benché a sua volta, invero, segnata da una cattiva stella, perché anche in questo caso, mentre ne si preparava la messinscena al Burgtheater, ci fu un decesso: a morire non fu però un attore, ma il regista e costumista Alfred Roller. Il copione, che per questa ragione andò in scena in ritardo, alla fine di ottobre del 1912, fu accolto allora con grande favore, nonostante le sue debolezze, relative soprattutto allo scompenso fra la prima e la seconda parte, di cui l’autore stesso era per altro consapevole. Per presentare Zweig come drammaturgo, però, questo testo, debitamente “rinverdito” naturalmente da un’abile regia, avrebbe potuto evidenziare in maniera paradigmatica i temi con cui, in fondo, l’intera opera di Zweig si confronta. Perché il copione (che ha al centro una giovane dalla chioma fulva, quintessenza della seduzione e della destabilizzazione, di cui il marito scopre, per caso, il passato di prostituta), affronta le antinomie – molto care anche al suo ammirato Hofmannsthal – che più gli stavano a cuore, ossia la dialettica complessa fra vecchio e nuovo, passato e presente, maschile e femminile, amore e sesso, stabilità e caos.
In verità, a ben vedere, anche Paura o qualsiasi altra novella avrebbero potuto prestarsi in linea di principio a un’operazione analoga. Ma non tutti sono Rossellini. Lo spettacolo tratto da Paura presentato a Salisburgo per la regia di Jossi Wieler – la prima ha avuto luogo mercoledì 28 luglio – è stato accolto dal pubblico con favore e così dalla gran parte della critica. Non sono tuttavia mancate voci fuori dal coro, che hanno giudicato lo spettacolo superficiale e inadeguato al livello estetico della prosa di Zweig. Fra queste quella dell’ironico Gerhard Stadelmaier, il critico dell’autorevole Frankfurter Allgemeinen Zeitung (30/07/2010), che ha decisamente stroncato lo spettacolo, per aver ridotto la storia dell’Irene zweigiana, attanagliata dall’angoscia che suo marito scopra la sua tresca con un bellimbusto e quindi disposta per questa ragione a cedere alle richieste sempre più esose di una ricattatrice, a una serie di banali quadretti, adatti forse per un fotoromanzo, ma non certo per un’opera che si possa definire un dramma.
Gabriella Rovagnati