Emma Bonino che diventa Ministro della Repubblica: mettetela come vi pare ma intanto è un evento storico. La Rosa nel Pugno chiude così, con l’ingresso nel Governo, il percorso che l’ha vista partire da zero e in pochi mesi affrontare le elezioni politiche per ottenere da subito l’alternanza al governo Berlusconi: obiettivo raggiunto, anche se a fatica e nonostante gli sgarbi e il fuoco amico degli alleati. Allo stesso tempo per i Radicali si chiude la fase del rientro nelle istituzioni, che avviene con un chiaro mandato politico e senza una adesione aprioristica a questo o quello schieramento, strategia che qualcuno per anni ci ha proposto ma sarebbe stata la premessa per esserci in modo insignificante e a lungo andare fallimentare. Il rientro dunque c’è stato e si tratta di un ingresso con numeri importanti, nonostante un risultato elettorale inferiore a quello che i sondaggi e le speranze di molti attestavano, anche nonostante il mancato riconoscimento dei quattro eletti al Senato, dato negativo che certo incide molto. Nonostante tutto, i Radicali portano nove eletti all’interno del gruppo dei diciotto parlamentari della RnP ed esprimono un Ministro che ha tutte le premesse per caratterizzare con un successo la propria azione di governo.
Eppure è proprio in questo momento che sembrano acquistare più forza le voci contrarie alla RnP e all’alleanza a sinistra. L’accusa è dura: connivenza col nemico. La richiesta precisa: occorreva dare l’appoggio esterno, uscire da una coalizione che non ha niente da dire sul problema della legalità (con riferimento proprio alla vicenda, ancora non chiusa, del Senato). Rispuntano, a suon di “io l’avevo detto”, improbabili ipotesi di terzo polo. Qualcuno si spinge fino a sostenere che a star fuori dal Governo dovrebbe essere al limite la sola componente radicale della RnP, con buona pace di chi ha creduto e investito del suo in quel progetto politico.
Non ci siamo, cari compagni. Le vostre sono critiche fuori tempo massimo. A cosa serve riportare oggi il dibattito indietro di un anno, come nel gioco dell’oca, tornando a problemi e snodi già affrontati quando invece c’è da guardare avanti per svolgere una matassa incredibilmente complessa per concretizzare le nuove tappe dell’avventura immaginata a Fiuggi?
La questione del venire a patti col regime, se vogliamo dirla così, l’abbiamo già affrontata prima ancora di dar vita alla Rosa nel Pugno. Non basta dire terzo polo o alternativa al regime se poi non si spiega come la si può realizzare. È evidente che per il dato di crescente illegalità del sistema anche politico italiano e per la carenza di contenuti liberali e prospettive di riforma nei due poli, la collocazione naturale dei Radicali, ovvero della forza che più di tutte in questo paese ha dimostrato di battersi per il cambiamento, sarebbe al di fuori degli schieramenti per lanciare da lì uno scontro frontale col sistema. Col piccolo particolare però che questa strategia politica, fermandosi all’attuale stagione nata col referendum del ’93, è stata tentata per oltre un decennio, a fasi alterne e con alterne fortune, ma col risultato finale che ci ha visti purtroppo sconfitti. Sconfitti nell’uso dello strumento referendario, sconfitti nell’uso del ricorso alla magistratura per ottenere il rispetto delle regole, sconfitti nell’uso della nonviolenza (con alcune eccezioni che però hanno sostanzialmente confermato la regola) per richiamare al rispetto della legge. Finora ha prevalso il ‘Caso Italia’, la qual cosa ci porta dritti alla svolta di anno fa, guidata da Marco Pannella con la «denuncia dell’ulteriore deteriorarsi della situazione istituzionale, civile e politica nel paese» in un «contesto di illegalità che produce la necessaria espulsione del movimento radicale e referendario dei diritti umani e civili dalla vita istituzionale, civile e politica del paese» (citando la mozione del comitato nazionale di Radicali italiani del gennaio 2005). Il risultato è quello di una totale impraticabilità politica al di fuori del «recinto partitocratrico» (per dirla con Pannella stesso). Una situazione non più affrontabile con gli strumenti fin qui utilizzati, da superare tentando l’interlocuzione con parti stesse del regime «per conquistare segmenti di legalità» e «il recupero alle istituzioni della presenza e dell’apporto radicale».
È una linea politica, la si può condividere o meno. Sono sempre stato scettico verso la presunta indispensabilità di una presenza nelle istituzioni da ottenere a qualsiasi costo, o meglio senza far pagare alla controparte alcun costo. Esiste anche l’alternativa di una prospettiva extra parlamentare, come di fatto abbiamo vissuto nel decennio che abbiamo alle spalle, purché magari la si affronti organizzandosi di conseguenza e non affrontando campagne elettorali o referendarie che non tenendo conto della realtà rischiano di diventare velleitarie e solo costose in termini di risorse economiche e umane. Le opzioni c’erano, quindi, ma una volta che si è fatta la scelta di affrontare un percorso politico diverso, che punta a giocare anche la carta istituzionale, e che si è riusciti a concretizzarlo in una prospettiva, beh, è inutile pensare di rimettere tutto in discussione riproponendo gli stessi argomenti di partenza. Ad esempio, come si fa a sostenere (oltretutto a vicenda ancora aperta) che siccome oggi l’Unione tace sugli otto senatori mancanti allora non si può stare in quel Governo, quando in quel Governo ci siamo arrivati proprio perché partiti dalla necessità di affrontare anche da lì, da quella postazione, il dato d’illegalità diffusa. Come se uscire dal Governo e dalla maggioranza, oggi, ad un mese dal voto, potesse darci strumenti nuovi di lotta politica. Io partirei piuttosto dal prendere atto di quel che abbiamo conquistato, che per poco che sia non era affatto scontato: in pochi mesi abbiamo concretizzato il “recupero alle istituzioni dell’apporto radicale” e ci siamo conquistati nuovi strumenti di lotta per tentare di ottenere “segmenti di legalità”.
Lascio quindi volentieri ad altri il dibattito sull’opportunità o meno di appoggiare Prodi e sui buoni o cattivi a destra o a sinistra. Una scelta è stata fatta: verifichiamola ad ogni occasione, ma per cortesia con elementi nuovi ed aggiornati. In questo momento il problema vero è altro: come ridare fiato a un progetto politico che avendo chiuso con alcune difficoltà una fase, quella elettorale, e dovendone aprire un’altra già di suo complessa, quella costituente del partito, si trova in mezzo a un guado non facile da superare. Il rischio è che la corrente abbia la meglio e trascini via tutto. Purtroppo a complicare il tutto potrebbero esserci tra pochi giorni anche le elezioni amministrative, che portano con sé non pochi elementi di preoccupazione e in caso di risultato negativo potrebbero dare ancor più coraggio ai non pochi avversari fin dalla prima ora della RnP.
Si rischia lo stallo e per superarlo serve ridare forza al progetto di costruzione del nuovo soggetto politico, non ultimo anche per un calcolo puramente utilitaristico. È indubbio che il prezzo di una scelta coraggiosa sia i Radicali che i Socialisti lo hanno pagato, tutto, mentre il ritorno in termini di consenso ancora non c’è stato se non in piccola parte. Chiudere ora questa esperienza farebbe quindi solo perdere l’investimento iniziale. In campagna elettorale la RnP ha dimostrato di sapere suscitare molta attenzione e interesse. Nell’urna questa attenzione si è concretizzata solo in piccola parte e l’impressione è che in molti non si siano spinti oltre, pur attratti da questa indubbia novità, in attesa delle necessarie verifiche e del banco di prova post elettorale. Serve quindi dimostrare la concretezza del progetto politico, prima che quell’attenzione si perda. Per questo è urgente arrivare al varo del percorso per la costituente del partito della RnP, con una piattaforma programmatica che parta dai temi di Fiuggi e li approfondisca. Il lavoro che la segreteria nazionale sta svolgendo in vista della scadenza del 30 di giugno è una tappa fondamentale, ma deve passare prima possibile ad una fase pubblica che coinvolga tutte le componenti della RnP e soprattutto i suoi militanti attuali e potenziali. Stiamo attenti, che mentre il lavoro parlamentare e ministeriale sarà giudicabile tra mesi, se non anni, su questo fronte il giudizio arriverà ben prima.
Antonio Bacchi
(da Notizie radicali, 25/05/2006)