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Una sofferenza gravida di moniti. La poesia di Nelly Sachs
03 Giugno 2010
 

Avrebbe voluto sparire dietro i propri versi, non desiderava le luci della ribalta; avrebbe voluto essere soltanto un sospiro per quanti fossero stati disposti ad ascoltare la voce flebile del suo dolore. Questa era la volontà di Nelly (Leonie) Sachs, nata a Berlino nel 1891 nell’ambiente ovattato di un’abbiente famiglia ebraica. Fin dall’adolescenza iniziò a scrivere versi e prosa e quando, a trent’anni, inviò a Selma Lagerlöf, la scrittrice svedese che era stata la prima donna insignita, nel 1909, del Premio Nobel per la letteratura, costei le rispose, riconoscendo il talento della Sachs, che lei stessa “non avrebbe saputo fare di meglio”.

Ma la salute di Nelly Sachs era, a quel punto, già da tempo compromessa per via di un infelice amore che, a diciassette anni, l’aveva spinta nel baratro dell’anoressia, contro la quale, tuttavia, aveva trovato un antidoto nella scrittura. Il suo amore per quell’uomo, a cui non si sa perché avesse dovuto rinunciare e di cui non rivelò mai il nome, rimase vivo in lei anche “negli anni dell’annientamento dell’era di Hitler”, e anche dopo che fu informata della sua morte, essa lo cantò nei propri versi come “anonimo sposo”, senza mai rivelarne l’identità.

Di questo sentimento inappagato si nutre tutta la produzione di Nelly Sachs che iniziò a pubblicare e a farsi un nome proprio negli anni del trionfo del nazismo, costretta a scegliere, per esprimersi, organi di stampa “non ariani”:

 

Commiato, parola da usignolo

Che esaurì il suo canto a Dio

Brocca di lacrime in cui qui e là

Un che di singhiozzante affogò.

 

Si bacia in te una coppia di rondini

Che sta per separarsi

Ti divide la morte, un flebile capello

Che amor da amore disgiunse?

 

Dato che la sua situazione economica, dopo la morte del padre, si era fatta precaria, mentre il clima politico era sempre più inquinata dai folli progetti hitleriani, a partire dal 1938 Nelly Sachs cercò, per sé e per sua madre, una possibile via di fuga nell’emigrazione. Soltanto nel maggio del 1940, tuttavia, le due donne riuscirono a lasciare la Berlino con uno degli ultimi voli dell’aviazione civile per Stoccolma. Tutti i loro averi erano contenuti in una sola valigia.

La vita di Nelly Sachs in Svezia, sua patria d’elezione, fu inizialmente caratterizzata da estrema povertà e totale isolamento, nonché resa difficile dalla progressiva malattia della madre, che richiedeva ormai un’assistenza costante e assorbiva tutte le sue energie. Per scrivere le restavano soltanto le notti, incupite da un’angoscia cui soltanto il lavoro poetico concedeva tregua. Dal 1942 la Sachs trovò una fonte si sostentamento come traduttrice di liriche dallo svedese; ma non trovò la serenità, perché nel contempo venne a conoscenza di quanto stava succedendo nei campi di sterminio della Germania e dell’Europa orientale. Lo sconvolgimento che queste notizie scatenarono in lei comportò anche un radicale mutamento del suo stile compositivo. Dai toni tardoromantici della prima maniera, dove è evidente l’eco rilkiana, Sachs passò così a versi sempre più concisi e densi di una metaforicità funerea. Delle nuove poesie, non a caso, fanno parte una serie di epitaffi, e una vena tragica attraversa l’intera raccolta In den Wohnungen des Todes [Nelle dimore della morte], uscita nel 1947. Questa silloge, insieme al successivo volume Sternverdunkelung [Ottenebramento delle stelle] del 1949, fanno della Sachs “la poetessa del destino ebraico” (come la definì uno dei suo primi e massimi conoscitori, il germanista Walter A. Berendsohn):

 

O quei camini

Sulle dimore della morte con ingegno escogitati,

Quando il corpo d’Israele in fumo dissolto

Per l’aria passò −

Come spazzacamino una stella l’accolse

Che nera si fece

O era un raggio di sole? […]

 

La svolta estetica nella sua produzione fu di tale portata da indurre la Sachs a volere che nulla di quanto aveva scritto prima venisse più pubblicato. Nel 1950, dopo aver perso la madre, la poetessa rimase vittima di un crollo nervoso dal quale si risollevò dedicandosi con intensità alla lettura dei testi biblici e soprattutto di quelli della mistica ebraica. La sua poesia entrò così in un’ulteriore nuova fase, facendosi sempre più ermetica. Nei versi di questo periodo sogno e realtà, storia e leggenda, desideri e delusioni s’intrecciano e si fondono, uniti nella ricerca di “quella fine occulta” di cui parla la Cabbala, che è il punto primigenio dell’esistere.

In questi testi vita e morte, presente e passato formano un tutt’uno; così nelle raccolte Und niemand weiβ weiter [E nessuno sa proseguire, 1957] e Flucht und Verwandlung [Fuga e metamorfosi, 1959] l’intero universo è un groviglio di linee che s’intersecano plurime, e la rete pulsante del linguaggio prova a riprodurlo e a cristallizzarlo in una forma afferrabile. Quest’ultima raccolta dà il titolo anche alla mostra allestita (ancora fino al 27 giugno) nel Museo Ebraico di Berlino (immagine allegata, 25 marzo - 27 giugno 2010, Eric F. Ross Gallerie, Libeskindbau) per rendere omaggio a quest’anima fragile, il cui mondo, nell’esilio di Stoccolma, era tutto racchiuso in un alloggio di poco più di quaranta metri quadri, arredato con estrema essenzialità:

 

Nella mia stanza

dove c’è il mio letto

un tavolo una sedia

il fornello da cucina

s’inginocchia l’universo come ovunque

per essere redento

dall’invisibilità – […]

 

Arrivata a una certa notorietà alla fine degli anni cinquanta, Nelly Sachs cadde di nuovo vittima della sua particolare sensibilità. Non riuscendo a sopportare l’idea che nella Germania denazificata molti degli ex adepti di Hitler si fossero non solo riabilitati, ma avessero persino fatto splendide carriere, e che anche nella Svezia liberale si verificassero preoccupanti sussulti di neofascismo, la poetessa finì per sviluppare una sorta di mania di persecuzione, sentendosi braccata da una folla di spettri che agivano secondo una “matematica à la Satane” che le causava tormenti senza tregua. Le cure psichiatriche cui sottopose le resero di nuovo possibile – benché mai più del tutto libera dai fantasmi persecutori della sua mente – di tornare a tradurre e a scrivere:

 

Questa telegrafia misura con una matematica à la Satane

i punti sensibilmente musicanti

sul mio corpo

Un angelo dai desideri dell’amore costruito

muore e risorge nelle lettere

in cui io viaggio −

 

Consolidata la sua fama con la pubblicazione della sua opera completa nel 1961, in occasione del suo settantesimo compleanno, Nelly Sachs fu consacrata come una delle più importanti voci della poesia tedesca del secondo Novecento con il Premio Nobel per la letteratura, di cui fu insignita nel 1966. Nel giorno in cui a Parigi si celebravano le esequie del suo amico Paul Celan, il 12 maggio 1970, Nelly Sachs morì:

 

Sono in terra straniera

che è custodita dall’8

il sacro angelo a farfalla

Ch’è sempre in viaggio

per la nostra carne

inquietudine suscitando

e la polvere matura al volo rendendo.

 

Gabriella Rovagnati


Foto allegate

Flucht und Verwandlung: Nelly Sachs, Schriftstellerin, Berlin/Stockholm
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