«La libertà della stampa deve essere assoluta. I giornali devono essere lasciati liberi di esercitare la propria funzione investigativa e di controllo con forza, vigore e senza impedimenti». Più chiaro di così. Queste parole furono scritte nel 1789 da Benjamin Franklin, scrittore, scienziato e politico statunitense. Dopo oltre due secoli, nell'Italia post-moderna dei nostri tempi, siamo così bravi da mettere in discussione questa grande affermazione di libertà. Il pretesto, e un pretesto ci vuole sempre, è quello della privacy. Ora se il governo dicesse che le intercettazioni o le parti di intercettazioni che non c'entrano con una determinata inchiesta non devono essere pubblicate saremmo tutti d'accordo. Non si vede perché il gossip debba affondare i suoi artigli contro persone che hanno avuto soltanto la sfortuna di finire intercettate in una indagine che non le riguarda. A chiunque dispiacerebbe vedere una sua privata conversazione sbattuta senza motivo sulle pagine dei giornali. Se la conversazione intercettata non riguarda l'indagine in oggetto non vi è alcun bisogno di pubblicarla. Detto questo è però assolutamente necessario che i giornali facciano il loro mestiere e che possano quindi indagare su qualsiasi rilevante questione e riferirne tempestivamente ai lettori. Ci mancherebbe che passassero sotto silenzio i crimini delle organizzazioni mafiose o le malefatte della pubblica amministrazione. La democrazia è trasparenza, informazione, dibattito, libertà. La politica non può chiudersi a difesa di privilegi o, quel che è peggio, di comportamenti illeciti o criminosi. I malfattori di qualsiasi specie non possono godere di vantaggiosi silenzi. Restringere ad esempio la rete delle intercettazioni significherebbe ridurre enormemente la possibilità di indagare sulle attività delle peggiori associazioni criminali quali la mafia, la camorra e la 'ndrangheta, con le conseguenze che si possono immaginare. Considerato questo pericolo un governo come si deve non dovrebbe neppure prendere in considerazione l'ipotesi di intervenire sulle intercettazioni (fermo restando quanto prima detto sulla privacy) né tanto meno di porre limitazioni alla stampa e agli altri organi di informazione. E invece...
Di fronte all'inspiegabile indifferenza della pubblica opinione fa piacere vedere come questa volta scrittori, direttori, editori e giornalisti di diverso orientamento ideologico e politico si siano mossi per contrastare una legge-bavaglio che rischia di oscurare l'informazione e di togliere ai cittadini la possibilità di controllare l'operato di chi ci governa.
Siamo sempre lì. Da un po' di anni a questa parte la musica è sempre quella: incertezze e debolezze nell'attività di governo, cure palliative nell'economia, depotenziamento della sanità pubblica, lentezza della giustizia, disfunzioni della burocrazia, indebolimento della scuola pubblica, ecc., ma ferma decisione nell'intervenire sulla libertà di informazione, tenace determinazione nell'eliminare i personaggi sgraditi dalla televisione, energica compattezza nell'approvare leggi ad personam, ecc. Il conflitto di interessi fa sentire sempre di più il suo intollerabile peso. Una coltre di servilismo avvolge il comportamento di parlamentari della maggioranza e perfino, incredibile a dirsi, dell'opposizione. L'attività di governo è guidata dai sondaggi e non dagli interessi della collettività. Le dichiarazioni del presidente del Consiglio sono le più varie e contraddittorie. E così capita di sentirlo dare ragione, di volta in volta, a Calderoli e a Storace, a Gasparri e a Casini, agli israeliani (la mattina) e ai palestinesi (il pomeriggio), a Putin e a Obama. Come lo specchio della matrigna di Biancaneve la tavola dei sondaggi suggerisce al Capo ciò che deve dire e ciò che deve fare per far risplendere la sua (assai truccata) immagine. Ora è evidente che la casa del ministro Scajola riflessa dentro questo specchio insieme al Colosseo offusca non poco la magica visione. Ecco, se la stampa non avesse potuto dare notizia di tale scandalo, per il dominus di Arcore sarebbe stato meglio. Come sarebbe stato molto meglio che non fossero stati intercettati Anemone e C. mentre gestivano i loro intrallazzi miliardari all'ombra della Protezione Civile di Bertolaso. Come sarebbe stato infinitamente meglio che le registrazioni effettuate da Patrizia D'Addario a palazzo Grazioli non avessero potuto in nessun modo essere diffuse. E l'elenco potrebbe continuare.
Quale pretesto migliore della tutela della privacy per impedire oggi, domani e sempre, tutto questo? Insomma, a me sembra che si voglia far tornare l'Italia a un passato lontano. Quando le notizie, gli articoli di giornale, persino le immagini fotografiche, passavano sul tavolo di qualcuno che le vagliava, le ammetteva o le censurava a beneficio di Colui che non sbagliava mai.
Come liberi cittadini non ci indigna tutto questo? La libertà dell'informazione è il fondamento della democrazia. Essa è frutto di una battaglia illuministica condotta più di due secoli or sono e che pensavamo fosse vinta per sempre. Purtroppo non è così. Neppure nel nostro mondo occidentale possiamo dormire sonni tranquilli perché, come ben vediamo, qualcuno vorrebbe toglierci questo grandissimo bene e intende farlo in maniera subdola, parlando di tutela della privacy ma pensando a tutt'altra cosa. E intanto si sta procedendo per mettere contro editori e direttori di giornali, si lavora nell'ombra per impedire alla libera stampa di finanziarsi con la pubblicità, per aumentare a dismisura i costi di distribuzione delle pubblicazioni periodiche che si servono del servizio postale per la diffusione (ne sa qualcosa il nostro Gazetin), ecc. Senza contare le costosissime cause (in)civili condotte per intimidire e mettere a tacere le voci libere di questo paese.
Di fronte a tutto questo si vorrebbe che un forte movimento d'opinione facesse risuonare alta la sua voce. Dominano invece indifferenza e apatia. Gli stessi sindacati, giustamente sempre pronti a difendere gli interessi dei lavoratori, non fanno una piega di fronte a questi attentati alla libertà. Non parliamo poi delle pubbliche amministrazioni e degli enti locali. Meglio lasciar perdere.
Sulla copertina dell'ultimo numero del Gazetin veniva opportunamente riportato l'articolo 21 della Costituzione:
«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure...»
Forse ci servirebbe ripassarla, ogni tanto, la nostra Costituzione. E, visto quel che ci è costata, difenderla con le unghie e coi denti.
Gino Songini
(per 'l Gazetin, giugno 2010)
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